L’università scaligera conferirà a Liliana Segre la laurea “honoris causa” in Scienze pedagogiche. La cerimonia di proclamazione è in programma mercoledì 15 dicembre 2010 alle 15 nell’aula magna del Polo Zanotto. Liliana Segre, sopravvissuta ad Auschwitz e fra le ultime testimoni della Shoah, racconterà a studenti e docenti la sua esperienza in una lectio magistralis dal titolo “Lezioni di vita". La lectio sarà preceduta dall’ intervento del preside della facoltà di Scienze della Formazione Mario Longo e dalla laudatio di Gian Paolo Romagnani, ordinario di Storia moderna della facoltà di Scienze della Formazione.
Una voce per non dimenticare. Liliana Segre, sopravvissuta ad un’esperienza di estrema drammaticità, ha negli anni partecipato a numerosi incontri con studenti nelle scuole italiane di ogni ordine e grado: un impegno di testimonianza che ha svolto con straordinaria forza d’animo. Che ne sarà della Shoah quando i sopravvissuti non avranno più voce per raccontare? Nel 1990 Liliana Segre, dopo quarantacinque anni di silenzio, decise di partecipare ad alcuni incontri con gli studenti delle scuole di Milano, portando il ricordo di ex deportata. “Quando i sopravvissuti hanno iniziato a parlare, si era in un mondo di sordi”, ha più volte affermato la stessa Segre.
Scegliete la vita, sempre! Nei ricordi da sopravvissuta Liliana Segre è animata da una ostinata volontà di vivere: “Hanno il mio corpo ma, non avranno la mia mente – diceva a se stessa nel lager – scelsi di non vedere il filo spinato, le compagne sottoposte a crudeli punizioni, gli appelli, gli impiccati, le montagne di cadaveri, la fiamma delle ciminiere. Scelsi la vita. Scegliete la vita sempre!” Oggi Liliana Segre prosegue instancabile la sua testimonianza per la condivisione del dovere della memoria, missione che l’ha portata ad incontrare più di centomila studenti in scuole superiori e università di tutt’Italia.
Laurea honoris causa in Scienze pedagogiche. Ed è proprio in virtù delle modalità di azione pedagogica di cui ha saputo farsi portatrice, rispondendo al bisogno sociale di maturare una coscienza collettiva dei drammi individuali, che l’università ha deciso di conferirle la laurea honoris causa in Scienze pedagogiche. Al termine della cerimonia di proclamazione l’ateneo coglierà l’occasione per uno scambio di auguri tra docenti, ricercatori, personale tecnico amministrativo e studenti. Musiche e canti d’augurio saranno affidati alla Fanfara Ziganka ed al Coro dell'ateneo di Verona diretto da Luca Marchetti.
Liliana Segre, biografia. Di origine ebraica, Liliana Segre è una supersite italiana dell’Olocausto. Nata nel 1930, orfana di madre a 10 mesi, visse l’infanzia insieme a suo padre e i nonni paterni. In seguito alle leggi razziali fasciste introdotte in Italia del 1938, venne espulsa dalla scuola. Con l’intensificarsi della persecuzione degli ebrei italiani nell’ottobre 1943 cercò, assieme al padre e due cugini, di fuggire in Svizzera, ma furono respinti dalle autorità di frontiera. Liliana Segre venne arrestata a Selvetta di Viggiù in provincia di Varese. Fu trasferita a Como e nel carcere di San Vittore, dove fu detenuta per quaranta giorni. Il 30 gennaio 1944 venne deportata al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau. Il numero di matricola tatuato sull'avambraccio di Liliana Segre è 75190. Alla fine di gennaio del 1945 affrontò la marcia della morte, dopo l’evacuazione del campo verso la Germania. Liliana Segre venne liberata il 30 aprile 1945.
“Come una rana d’inverno" Testimonianza di Liliana Segre. Mia figlia mi vorrebbe proteggere anche da un moscerino, è sempre lì, pronta: ci sono io, ci sono io, ci sono io. Credevo di non avere mai parlato di questo argomento con i miei tre figli, però ho capito che la mia esperienza è venuta fuori mille volte, in mille modi, dal mio numero sul braccio al fatto che a tavola non si doveva mai dire: questo non mi piace. I cani lupo mi fanno effetto. Sembro una donna tanto forte, ma in realtà ho paura di tante cose, del buio, di stare da sola. Non dormo mai a casa da sola. Evidentemente le ferite non si trasmettono solo con le parole. Quando ho iniziato a parlare in pubblico, non ho mai voluto che i miei familiari venissero a sentirmi. Come si fa a spiegare quanto dolore racconto? E che dolore può essere per quelli che mi amano, sentire il racconto di quello che ho passato? Ma una volta, finito di parlare in una scuola femminile – era una delle prime volte che parlavo davanti a un pubblico molto ampio – vedo che, nascosta nelle ultime file, c’era mia figlia. Era venuta senza dirmi niente. Piangeva. (Daniela Padoan, Come una rana d’inverno. La testimonianza di tre donne sopravvissute ad Auschwitz, Milano, Bompiani, 2004)