La Sindrome di Sjögren è una malattia autoimmune di origine ignota e caratterizzata da secchezza degli occhi e della bocca provocati da un’infiammazione cronica delle ghiandole salivari e lacrimali, da stanchezza, artromialgie e, in una percentuale variabile di pazienti, dal coinvolgimento di organi interni (rene, polmone, sistema nervoso centrale e periferico). Inoltre, in una bassa percentuale di pazienti si può verificare un’evoluzione verso il linfoma B. Due studi, pubblicati sulle riviste scientifiche “Journal of Clinical Medicine” e “ACR Open Rheumatology”, hanno rilevato che esistono fattori genetici ed epigenetici che regolano l’insorgenza e lo sviluppo delle diverse manifestazioni cliniche della Sindrome di Sjögren.
Le ricerche sono state condotte da un team composto da ricercatori dell’università di Verona guidati da Claudio Lunardi, docente di Medicina interna al dipartimento di Medicina diretto da Oliviero Olivieri, insieme a Marzia Dolcino, e da ricercatori dell’università di Genova coordinati da Antonio Puccetti, in collaborazione con l’Istituto Gaetano Pini-CTO di Milano e l’ospedale Humanitas di Castellanza.
“L’epigenetica è l’insieme di fattori che modificano l’espressione dei geni che vengono trascritti in proteine (geni codificanti) e che non alterano le sequenze nucleotidiche dei geni codificanti” spiega Dolcino. “I meccanismi epigenetici rappresentano un ponte fra i fattori genetici ed ambientali e hanno un ruolo importante nel determinare tutti i tipi di malattia. Gli studi di genetica convenzionali, anche se eseguiti con tecnologie molto sofisticate, non sono riusciti a chiarire l’origine delle malattie autoimmuni/neoplastiche”.
“Nel primo lavoro abbiamo deciso di studiare il ruolo di queste molecole regolatrici nella Sindrome di Sjögren, attraverso l’analisi di circa 540.000 geni noti, di cui almeno 50.000 “long non coding RNAs” (cioè RNA che non serve per fare proteine) e abbiamo potuto identificare 3 long non coding RNA, che sono in grado di controllare geni codificanti coinvolti nei diversi aspetti della malattia: l’infiammazione ghiandolare, l’impegno dei vari organi bersaglio e l’eventuale evoluzione verso linfoma che può svilupparsi nei pazienti affetti da Sindrome di Sjögren” evidenzia Puccetti.
“Questo studio è molto importante”, conclude Lunardi, “perché dimostra che parte del nostro genoma non codificante è in grado di modificare l’espressione di geni importanti per l’insorgenza e le manifestazioni cliniche della Sindrome di Sjögren e apre interessanti prospettive per l’individuazione di nuovi bersagli terapeutici”.
In un secondo lavoro il team di ricerca è riuscito a identificare i meccanismi genetici che determinano, nei soggetti affetti da Sindrome di Sjögren, la comparsa di due differenti fenotipi clinici caratterizzati da una diversa percezione del dolore. Sono stati infatti identificati i segnali molecolari responsabili di una maggiore componente dolorosa/fibromialgica, presente in un ampio gruppo di pazienti affetti da Sindrome di Sjögren.
Lo studio ha dimostrato, quindi, che i geni attivati nei pazienti in cui prevale la componente dolorosa/fibromialgica, sono diversi da quelli attivati nei pazienti con manifestazioni sistemiche. La scoperta mette in evidenza la necessità di studiare approfonditamente questi meccanismi genetici per poter mettere a punto terapie personalizzate adeguate alla tipologia del paziente che si rivelino più efficaci di quelle attuali.