Gli psicofarmaci possono essere considerati una reale classe di farmaci o sono il prodotto di una strategia di marketing? Questo interrogativo e altri temi legati al mondo della psichiatria sono stati discussi al Policlinico “Rossi” di Borgo Roma durante la quarta giornata veronese di informazione indipendente sugli psicofarmaci organizzata dalla sede veronese dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dal dipartimento di Medicina e Sanità pubblica dell’Università.
Il convegno è stato aperto da Michele Tansella direttore del Centro di Salute Mentale e preside della facoltà di Medicina , e dagli interventi di Corrado Barbui e Andrea Cipriani psichiatri dello stesso centro. Ad intervenire anche esperti internazionali come John Geddes dell’Università di Oxford e Peter Tyrer dell’Università di Londra.
Il disturbo bipolare. Durante la giornata gli esperti della materia si sono confrontati sui risultati ottenuti dalla ricerca nelle terapie psicofarmacologiche impiegate in particolare per il trattamento del disturbo bipolare. Tale patologia, conosciuta anche come sindrome o psicosi maniaco depressiva, rientra nel campo dei disturbi affettivi e comporta anormali oscillazioni dell’umore tra la tristezza, con episodi di depressione o malinconia, e l’euforia la cui principale manifestazione viene clinicamente definita come mania. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, questa patologia può interessare circa l’1.5% della popolazione mondiale; la malattia non sempre è riconosciuta dai familiari di chi ne è affetto né dagli stessi medici e, di conseguenza, il paziente non riceve con prontezza le cure più adeguate.
Come aiutare il paziente. “E’ opportuno trattare con tempestività un malato in fase maniacale, per il rischio oggettivo che si ponga in situazioni rischiose per sé o per gli altri – ha spiegato Michele Tansella -. I principi efficaci nella fase acuta sono gli antipsicotici quali aloperidolo, clorpromazina e olanzapina, anche se il litio, farmaco stabilizzante dell’umore, rappresenta ancora la prima scelta, nonostante il rischio potenziale di alcuni effetti collaterali importanti. Riguardo ai trattamenti non farmacologici, la ricerca è ancora agli inizi. Alcuni dati incoraggianti arrivano dalla terapia interpersonale e del ritmo sociale. Questo approccio, ad ogni modo, va sempre associato ad un intervento farmacologico ed è volto a migliorare la qualità della vita e la prognosi a lungo termine, senza porsi tuttavia come trattamento alternativo ai farmaci".
I familiari dei pazienti affetti da disturbo bipolare sono spesso poco informati e spesso sottovalutano l’importanza e le conseguenze di tale patologia. “Lo psichiatra ha il compito di aiutare i familiari dei pazienti – ha aggiunto Tansella – Proprio per questo esistono delle iniziative di supporto che possono aiutarli, sia fornendo informazioni sulla patologia, sia offrendo un sostegno per superare lo sconforto e poter così essere d’aiuto al proprio familiare”.
Gli stabilizzanti dell’umore.“Considerando il disagio personale e sociale associato al disturbo bipolare, il trattamento farmacologico a lungo termine è una delle principali esigenze in psichiatria oggigiorno – ha spiegato Andrea Cipriani –. I cosiddetti “stabilizzanti dell’umore” sono farmaci volti a ridurre il numero e l’intensità delle oscillazioni del tono dell’umore, sia in senso maniacale che depressivo. Tuttavia, solo su pochissimi farmaci ci sono prove di efficacia sufficienti e, in più, questi farmaci non costituiscono una classe omogenea tra loro, come accade invece per gli antidepressivi o per le benzodiazepine. Negli ultimi anni molti antipsicotici di seconda generazione sono stati studiati come trattamento farmacologico a lungo termine del disturbo bipolare, ma i dati sono ancora molto contrastanti o tendenzialmente negativi. In tal senso, uno dei problemi è che non conosciamo ancora quale può essere il meccanismo che sta alla base della loro azione. Un’informazione indipendente sull’argomento è volta ad illustrare anche da un punto di vista metodologico le difficoltà che sono correlate agli studi con questo tipo di pazienti, ma soprattutto a rendere consapevoli gli psichiatri che lavorano nei servizi territoriali italiani del rischio che si cerchi di favorire l’uso di farmaci antipsicotici di seconda generazione come se fossero efficaci stabilizzanti dell’umore, mentre non abbiamo dati solidi a supporto di tali opzioni terapeutiche”.
Lo studio Balance.“Attualmente – ha precisato Cipriani – siamo impegnati, in collaborazione con i ricercatori dell’Università di Oxford, nello studio Balance, uno studio indipendente, non sponsorizzato da nessuna casa farmaceutica, che coinvolge persone che soffrono di disturbo bipolare, che hanno avuto in passato almeno un episodio di mania e che richiedono un trattamento a lungo termine, nel tentativo di evitare nuovi episodi di mania o depressione. I criteri diagnostici stanno cambiando: si cerca di indagare il problema in tutta la sua complessità con una visione dimensionale e non categoriale e classificatoria in base al tipo di disturbo”.