Quale è oggi il valore della ricerca? In un mondo purtroppo brutalmente disilluso, spesso ai limiti del cinismo, le acquisizioni scientifiche suscitano ancora uno straordinario, connaturato, interesse. Ed è singolare constatare come nel pubblico l’interesse sia largamente indipendente dal fatto che il risultato della ricerca comporti delle utilizzazioni immediatamente percepibili o, comunque, un concreto beneficio.
Sembra che nella attenzione dell’uomo moderno sia comunque molto attuale il fascino dell’apprendimento, la curiosità. In Italia il finanziamento della ricerca è drammaticamente insufficiente. La ricerca scientifica altro non è che lo strumento attraverso il quale l’uomo singolo e l’umanità espandono e perfezionano la conoscenza. E però, il concetto di ricerca ha assunto significati quasi esclusivamente finalizzati : si sente definire la ricerca come "innovazione basata sulla tecnologia esistente".
Questa è la motivazione di fondo per la quale politici ed industriali domandano: perché si dovrebbe finanziare la ricerca, se non si è sicuri di un ritorno economico (che invece è assicurato nel caso della innovazione tecnologica); e poi "chi" dovrebbe finanziarla? Perché gli Stati dovrebbero continuare a finanziare un'attività sostanzialmente speculativa e le cui possibilità di applicazione sono altamente improbabili? Peggio, "…la frammentazione del sapere….la resa alla richiesta di quanti danno in maniera indiscriminata uguale valore praticamente a tutto…… genera un camuffamento dietro cui possono nascondersi nuove minacce all’autonomia delle istituzioni accademiche." Sono parole assai dure pronunciate in questi giorni da Papa Benedetto XVI.
Eppure la storia della scienza offre numerosissimi esempi di come la maggior parte delle ricerche, anche le più astratte, hanno rivelato la loro incredibile capacità di tradursi in applicazioni.
La buona ricerca è comunque utile, anche quando porti a conclusioni negative, quando abbia ritorni applicativi immediati o quando conduca a risultati di grande portata del tutto inaspettati a distanza di decine anni, così come accadde alla casuale scoperta di alcuni curiosi biologi negli anni ’60 i quali, analizzando un verme microscopico di ben marginale interesse scientifico, identificarono il concetto della morte cellulare programmata. Nessuno si sarebbe aspettato che, dopo decenni, la identificazione dei geni che controllano questi meccanismi nell’uomo avrebbero consentito di comprendere i meccanismi di gravissime patologie e di produrre gli interventi capaci di curarle.
Se chi governa deve essere sensibile ai processi di innovazione industriale, promuovendo gli investimenti in tal senso, tuttavia la comunità non può delegare ad altre fantomatiche entità il sostegno alla ricerca fondamentale, che è la vera fonte del progresso anche applicativo, ma, ancor più, esprime la irrinunciabile propensione dell’intelletto umano verso l’espansione del sapere. Questo è un carattere qualificante dello spirito umano che contiene in sé quell’elemento di divino del quale, forse, i nostri biblici progenitori si appropriarono, dotando la loro discendenza di prerogative e responsabilità forse uniche nell’Universo.
Con queste riflessioni abbiamo congedato i nostri brillanti dottori di ricerca lo scorso 2 ottobre. Ci sentiamo a loro vicini con "la speranza della volontà": il loro futuro è nelle mani di chi tiene le redini del Governo e della comunità che non può assistere indifferente alla quotidiana lotta per la soprravvivenza della ricerca in Italia. Il futuro di questi giovani ricercartori non è disgiunto da quello del paese, da quello di ogni cittadino italiano.
Alessandro Mazzucco.