La correzione e la valutazione dello scolastichese è stato portato in aula dall’esperto di storia della lingua italiana Luca Serianni, presentato dai professori Erasmo Leso e Arnaldo Soldani. La lezione agli studenti di Scienze della Comunicazione, ma aperta a tutti, aveva un titolo speciale: la correzione del compito scritto d’italiano a scuola . Nel dibattito molte sono state le domande poste al professore.
Come è avvenuta questa ricerca? Nonostante alcune resistenze per ricevere i temi, sono riuscito a rappresentare tutte le regioni. Mi sono soffermato su una tipologia, non tanto di compiti scritti, quanto di correzioni che vengono posti: 150 pacchi di temi, specificatamente quelli della prima classe delle superiori di tutti i tipi di istituti, dal liceo classico all’istituto professionale.
Una riflessioni sui temi: su quali punti si è soffermato di più? Ho usato la categoria della norma sommersa: l’insegnante nella sua classe è una specie di giudice supremo che applica la grammatica universalmente condivisa, ma interviene, come è giusto che sia, in una serie di aree grigie, dove non c’è una norma ufficiale ma una larga oscillazione. Ci sono delle variabili su cui si soffermano le differenze: il tipo di scuola, le tracce assegnate, il diverso livello socio culturale e la provenienza geografica dei ragazzi e il loro sesso.
Matita rossa o blu: ma la valutazione come deve avvenire? L’insegnante può usare anche l’arma dell’ironia, può ferire se cattiva, ma può indicare anche un coinvolgimento dell’insegnante.” spiega lo storico della lingua “La sanzione degli errori ortografici è giustificata a scuola: ma quando l’insegnante interviene incrementando il testo con gli elementi assenti è apprezzabile, si rischia di voler far dire allo studente ciò che lui non ha legittimamente voluto dire. Io ho adottato nella mia prassi scolastica la pratica dei verdi: segni in verde, colore della speranza, che contrassegnano gli errori e gli elementi positivi, di tipo espressivo ma anche di contenuto.
Come ci si comporta con gli studenti che arrivati all’università non riescono a superare le prove dei saperi minimi: di chi è la colpa? La nozione di saperi minimi ha una sua logica e occorre garantire una base condivisa. Il problema è come accertarli e su cosa puntare. Occorrerebbe abituare di più gli studenti alla pratica del test, che è un po’ estranea alla nostra tradizione scolastica, ma misura sempre di più le competenze professionali. I test universitari dovrebbero far leva effettivamente su argomenti che dobbiamo immaginare condivisi. Dovrebbe essere il punto d’incontro di due elementi: da un lato ciò che uno studente medio ha assimilato nella scuola, dall’altro ciò che ha assimilato dall’ambiente circostante. La colpa è divisibile secondo proporzioni che variano. Il buon insegnante non è solo quello che insegna determinati contenuti, il tempo è ridotto tra la lingua, la letteratura eccetera, è importante colui che riesce a stimolare un interesse autonomo dell’allievo che costruisce la sua cultura con il sentimento della curiosità intellettuale. La responsabilità è di entrambi ma uno studente passivo è un cattivo frutto comunque della scuola.
Cosa deve fare un professore universitario che si trova davanti ad un compito di esame pieno di errori ortografici: valutarli o attenersi solo ai contenuti? L’ortografia all’università è quello che si può definire prerequisito, si può passar sopra l’errore di distrazione occasionale, però non può essere una competenza a cui rinunciare. Mi sembra giusto tenerne conto anche se la prova verte su altri ambiti.