Vi è corrispondenza fra quanto prescrive la religione musulmana e quanto scrivono i mass media, a proposito dell’uso del velo da parte delle donne islamiche? Su questa domanda si è incentrata la tesi di laurea specialistica in Giornalismo di Elena Zorzi, discussa al Polo Zanotto. Nel suo studio, dal titolo “Il velo nella donna musulmana fra realtà e rappresentazione”, la laureanda, guidata dal docente di Giornalismo interculturale, Maurizio Corte, ha approfondito le principali tematiche che caratterizzano la religione islamica.
Quale immagine della donna emerge?
Sia per quanto riguarda le modalità di professarla nei paesi in cui essa è prevalente, sia per quanto concerne l’influsso del culto religioso nei meccanismi di integrazione degli immigrati musulmani in Europa. In entrambi gli ambiti emerge, come filo conduttore, la condizione della donna islamica. Infatti, alcuni dei principali temi analizzati sono la discriminazione femminile nell’ambito famigliare e in quello professionale, i delitti d’onore – ossia gli omicidi e le violenze subite dalle donne da parte dei loro stessi consanguinei per “ripristinare” la rispettabilità perduta della famiglia –, la segregazione femminile, in particolare espressa nel modo più concreto dall’imposizione del velo islamico, l’hijab, e ancora di più dalla copertura integrale costituita dal niqab e dal burqa. Quest’ultima tematica è al centro di forti dibattiti, nei paesi islamici ma soprattutto in quelli europei, in primo luogo in Francia, dove dal 2004 qualunque simbolo religioso, quindi anche il velo, è vietato nelle scuole e negli uffici pubblici. Attualmente anche in Italia si sta ipotizzando una regolamentazione dei modi di professare l’Islam, per lo più orientata a proibire il velo integrale in pubblico, anche sulla base della legge 152 del 1975, che impone la riconoscibilità delle persone, in territorio italiano.
E' valido il binomio "velo – sottomissione"?
Molti fautori del divieto, del resto, si avvalgono della tesi per cui il velo è, in primo luogo, un’imposizione maschile o dettata dal fondamentalismo islamico. D’altra parte, tuttavia, non mancano i casi in cui l’hijab – ma anche il burqa – è indossato per scelta, soprattutto in Europa, dove la fede islamica diventa più privata, in quanto meno legata alla professione comunitaria, e dove, soprattutto, viene a mancare un riferimento identitario. Molte volte, quest’ultimo viene ricercato proprio nel velo.
Nonostante ciò, nell’opinione comune europea, frutto molto spesso di stereotipi e pregiudizi, prevale il binomio velo-sottomissione. L’idea che ci possano essere delle donne islamiche velate e, al contempo, emancipate e realizzate professionalmente è ancora molto poco diffusa.
Per capire se questa visione è, in qualche modo, veicolata o favorita dai media, nella tesi di laurea è stata effettuata un’analisi su un centinaio di dispacci Ansa, scelti nel periodo tra agosto 2008 e agosto 2009, per la presenza di parole come “velo islamico”, “burqa” e “burkini” nel titolo.
Partendo dal presupposto che il velo è prescritto dal testo sacro islamico – il Corano -, l’obiettivo dell’analisi è verificare se la rappresentazione mediatica di fatti riguardanti l’Islam e in particolare le donne islamiche è coerente con questa prescrizione. Inoltre, attraverso l’analisi dei servizi Ansa, si può ricavare una raffigurazione positiva o negativa dell’Islam e una visione della donna islamica come vittima e sottomessa, oppure come indipendente o protagonista.
Cosa è emerso dall'analisi dei dispacci Ansa?
I risultati fanno emergere una buona aderenza della trasposizione mediatica ai precetti coranici, ossia si ribadisce spesso il fatto che il velo fa parte dei requisiti per la professione della religione islamica e, allo stesso modo, si ricorda giustamente che il velo integrale non è imposto da alcun principio espresso dal testo sacro. Tuttavia, in diversi casi si insinua che l’uso del burqa in Europa sia una sorta di provocazione alla società occidentale, visione che si discosta da ogni tipo di adesione a un culto religioso e che ha a che fare, invece, con manifestazioni di tipo più politico.
La concezione dell’Islam diffusa dai dispacci analizzati è per lo più neutrale ma i casi in cui la religione è descritta negativamente sono più numerosi di quelli in cui le si attribuiscono connotazioni positive. Infatti, molto spesso si fanno riferimenti all’integralismo religioso e al legame dell’Islam con pratiche retrograde nonché con il terrorismo.
Infine, la donna islamica è descritta, nella maggior parte dei servizi, come sottomessa alle imposizioni o ai divieti o come vittima della situazione. Ciò è collegato anche al fatto che molti dispacci Ansa, riguardanti il velo islamico, si riferiscono a tematiche legate alla discriminazione, all’integrazione e al mondo del lavoro.