Da alcuni anni la ricerca sui farmaci che inducono la disassuefazione da fumo si è concentrata anche sullo studio di vaccini capaci di eliminarne l’effetto piacevole. Le potenzialità terapeutiche di questi vaccini sono ancora tuttavia molto dibattute. Certamente il fatto che circa due mesi fa Glaxo Smithkline abbia deciso di acquistare Nic Vax, il vaccino anti-nicotina sviluppato dalla statunitense Nabi Biopharmaceutical, spendendo 40 milioni di dollari, fa pensare che le aspettative sui vaccini antifumo non manchino.
Abbiamo fatto il punto con Cristiano Chiamulera, professore associato di Farmacologia dell’università, presidente dell’ European Board Srnt (Society for Research on Nicotine and Tobacco) e direttore del Laboratorio di Neuropsicofarmacologia dell’ateneo.
Professor Chiamulera, può spiegarci come funzionano questi vaccini?
I vaccini antifumo sfruttano il meccanismo terapeutico dell’immunizzazione attiva per far produrre all’organismo anticorpi anti-nicotina. Questi anticorpi si legano alla nicotina e ne impediscono il passaggio dal circolo sanguigno al cervello in quanto rendono la molecola troppo grande per attraversare la barriera emato-encefalica, ossia la membrana che filtra il passaggio al cervello delle sostanze presenti nel circolo sanguigno; tali anticorpi sono anche in grado di impedire il passaggio del 50% della nicotina dalla placenta al feto. Questo significa che grazie a questo vaccino la nicotina non arriva nel cervello e viene eliminata senza indurre alcun effetto piacevole. Di conseguenza vi è una riduzione degli effetti psicoattivi anche a lungo termine – la dipendenza tabagica – dovuti all’azione della nicotina a livello cerebrale.
I dati hanno dimostrato che non c’è alcuna compensazione della mancanza di nicotina nel cervello: il fumatore non può compensare tale mancanza aumentando, per esempio, il numero o la profondità delle boccate di sigaretta, in quanto la nicotina agirebbe solo a livello periferico, con una serie di effetti spiacevoli dovuti al sovradosaggio. Quindi l’immunizzazione semplicemente toglie il piacere della sigaretta.
Quali opportunità offrono questi vaccini rispetto ai farmaci antifumo già in uso per la loro provata efficacia?
Studi clinici di fase 1 hanno dimostrato che i vaccini anti-nicotina non inducono eventi avversi seri, mentre studi clinici di fase 2 e 3 ne hanno dimostrato l’efficacia. Quindi questi vaccini offrono un’opportunità interessante e nuova per il trattamento farmacologico della disassuefazione da fumo in quanto, a differenza dei farmaci esistenti, la loro assunzione potrebbe generare solo eventi avversi periferici e non a livello centrale.
Il loro punto debole è la variabilità della risposta anticorpale individuale: infatti in soggetti con una bassa risposta anticorpale al vaccino vi è una bassa efficacia del vaccino stesso, che potrebbe generare il fallimento del trattamento ed una conseguente non aderenza del soggetto a tutto il programma di disassuefazione integrato.
Crede che in futuro questo vaccino potrà essere utilizzato anche per la profilassi delle dipendenze da fumo o solo per la disassuefazione?
Il vaccino sarà applicato alla disassuefazione, soprattutto in termini di prevenzione della singola ricaduta, usualmente definita “lapse” (sbandamento, scivolata). Il dosaggio sarà di 2-6 dosi in 2-4 settimane e la modalità di trattamento sarà all’interno dell’interevento integrato che includerà, oltre all’immunizzazione, la terapia farmacologica (ovviamente non con nicotina) e la terapia psicologica e motivazionale.
L’utilizzo del vaccino per la profilassi delle dipendenze da fumo solleva invece numerosi problemi di carattere bioetico. Infatti, benché l’immunizzazione non presenti rischi per la salute, sarebbe un problema attuare un gesto “coercitivo” di profilassi per la dipendenza tabagica che, per la maggior parte della società, non è una patologia ma solo un vizio.