La probabile chiusura del Centro di Ricerche Glaxo di Verona rappresenta ben più che uno degli ormai dolorosamente frequenti casi di dismissioni aziendali causate dalla crisi economico-finanziaria in corso. Non è nemmeno la espressione di una crisi del settore farmaceutico nel nostro Paese, che pure c’è e pesa gravemente sulla produzione del settore nel nostro Paese, gravata dalla imposizione automatica di partecipare al ripiano della inefficiente spesa sanitaria di alcune Regioni.
La crisi del Centro veronese di Glaxo è crisi del governo della ricerca scientifica in Italia, sulla quale vale solo la pena ricordare che esso non riesce a trovare la propria vera natura, che dovrebbe essere quella di una medaglia con una faccia rappresentata dalla cultura, l’altra rappresentata dalla managerialità.
Ciò premesso – riflessioni che attengono a competenze e scelte politiche, in relazione alle quali il mondo di coloro che la ricerca la fanno, non è mai consultato – voglio fare poche ragionate considerazioni sul tema Centro Ricerche Glaxo Verona.
Non è il caso di ribadire la straordinaria valenza di questo Centro, all’interno del quale si è costituita una non comune serie di competenze ben precise e dedicate, dotate di attrezzature e tecnologie di prim’ordine – anche queste non facilmente fungibili in ambiti sostanzialmente diversi da quelli per i quali sono state costruite – e la sua attiva presenza non solo nella ricerca di specifica competenza, ma anche nella valutazione della ricerca e nella epistemologia.
Tutto ciò è, peraltro, indispensabile conoscere e tenere in considerazione per capire che per salvare quel capitale unico, non lo si deve smembrare e nemmeno lo si può convertire ad altre finalità. Per continuare a mantenere il suo valore deve essere mantenuto sostanzialmente integro nelle infrastrutture, nelle attrezzature e soprattutto nel suo capitale intellettuale. Se questo gruppo di ricercatori fossero dispersi, si perderebbe per sempre quella esclusiva massa critica e quella competenza internazionale che ne fanno un patrimonio esclusivo. Nemmeno si può equivocare sul ruolo di questo personale, che non è fatto da “tecnici analisti di laboratorio” addetti alla esecuzione di natura chimica o chimico-fisica, ma da “ricercatori”, il cui compito è di ideare ed elaborare progetti di ricerca. Nel caso di Glaxo, quest’ultima è la componente peculiare che ne fa una realtà veramente esclusiva.
Certo, non sono molte le soluzioni compatibili con un obiettivo di conservazione di questo patrimonio, peraltro a mio modo di vedere, irrinunciabile. Non è di certo alla portata di una singola Università o di una singola territorialità. La costituzione di un parco scientifico all’interno di una ben precisa identità disciplinare di ricerca transazionale e trasferimento tecnologico è, in teoria, molto allettante. Ma per concretezza, se ne debbono identificare i finanziatori motivati e capaci di coprire i costi non banali.
Mi sembra che il livello di decisionalità debba essere elevato ad un contesto condiviso tra governo nazionale e regione, che debbono operare una scelta di obiettivo e poi identificare lo strumento finanziario per sostenerlo. E’ fuor di dubbio che possa e debba rappresentare una realtà di ricerca regionale inserita in un circuito nazionale, così come è avvenuto per l’IIT di Genova.
La destinazione può essere evidentemente diversa, in ragione di diverse priorità valutate da chi ne ha la responsabilità. Tuttavia non credo si possa dimenticare che la Regione Veneto, in accordo con il Governo, ha fatto delle scelte di distretto ben precise, tra le quali emergono le attività del distretto per le nanotecnologie che ha sviluppato presso il parco scientifico Vega una nanofabrication facility focalizzata su materiali nano-strutturati innovativi, utilizzabili nella produzione industriale.
Perché allora non rispettare la vocazione del centro di ricerche Glaxo utilizzandolo per insediare in esso o attorno ad esso un centro di nanotecnologie in ambito biomedico? Sarebbe questa una scelta totalmente coerente con le competenze del Centro di ricerca Glaxo e con i grandi potenziali scientifici esistenti nei settori della biologia molecolare, delle biotecnologie, delle scienze mediche di cui, centrate attorno alle sue Università, gode la Regione Veneto e che costituirebbero un nuovo polo trainante per il Paese.
Alessandro Mazzucco