E' morto a Parigi all'età di 89 anni il regista Eric Rohmer. Pseudonimo di Maurice Schérer, Rohmer è stato uno dei maggiori esponenti della Nouvelle Vague, fondatore insieme a Jean-Luc Godard e Jacques Rivette de La gazette du cinéma e responsabile dal 1957 al 1963 dei Cahiers du cinéma. Rohmer esordì dietro la macchina da presa nel 1959 mentre con Il raggio verde vinse il Leone d'oro alla mostra del cinema di Venezia, dove nel 2007 presentò la sua ultima pellicola Gli amori di Astrea e Celadon. Quale eredità ci ha lasciato questo cineasta francese e che importanza ha avuto nella storia del cinema? A fare il punto con noi è Alberto Scandola, professore di Storia e critica del cinema dell'ateneo.
Professore, quale è stato il segno che Eric Rhomer ha lasciato nella Nouvelle Vague e nel cinema in generale?
All'interno del gruppo Cahiers, spesso animato da polemiche inconoclastiche (penso ai pamphlet di Truffaut), Rohmer era una specie di moderatore, fin dall'inizio prudente nell'abbracciare senza riserve la politique des auteurs. La lezione che ha lasciato è forse la seguente: essere moderni non significa per forza distruggere il passato. Lo splendore del vero, oggetto di attrazione di tutta la Nouvelle Vague, può emergere anche all'interno di una struttura narrativa forte, per certi versi "letteraria", dove il racconto procede per connessioni di causaeffetto e la psicologia dei personaggi è ben definita. Nel cinema francese contemporaneo si riscontrano molte strutture "rohmeriane": piccolo budget, unità di tempo e luogo, regia al servizio di personaggi che parlano.
Quali sono gli elementi ricorrenti che si possono riscontrare nella sua produzione cinematografica?
Il cinema di Rohmer è un cinema della parola. O forse, per meglio dire, un cinema con la parola, in quanto la parola è spesso filmata da Rohmer come un oggetto, un paesaggio, un corpo. A proposito dei Racconti morali, Rohmer invitava a diffidare dal confondere i discorsi dei suoi personaggi con quello che avrebbe potuto essere il discorso dell'autore. I personaggi parlano, ma forse non dicono le stesse cose che dice il film. E il film, a sua volta, parla con un linguaggio visivo molto scarno, essenziale, quasi televisivo, oserei dire rosselliniano.
Tra la filmografia del regista quale opera preferisce e perché?
Amo molto il primo Rohmer, mentre non mi hanno convinto i recenti esperimenti col digitale come La nobildonna e Il duca. Su tutti La mia notte con Maud: il personaggio di Trintignant, interpretato da Jean-Louis, è una specie di summa del conflitto, tanto amato da Rohmer, tra la coscienza e l'istinto, la ragione e il sentimento, l'azione e la parola. La parola in qualche modo giudica l'azione ma forse le motivazioni piu intime del comportamento dei personaggi si trovano nei silenzi, nei non-detti.