“Il restauro del campanile di San Zeno”. E’ questo il titolo della relazione presentata da Giovanni Villani, appassionato cronista della storia di Verona, intetervenuto all giornata all'Accademia di Agricoltura, Scienze e Lettere di Verona. Ad introdurre i lavori Galeazzo Sciarretta, presidente dell’Accademia.
“La costruzione del campanile, romanico e a pianta quadrata, è avvenuta in tre periodi – ha spiegato Villani – nel 1067, nel 1120, dopo il terribile terremoto del 1117, quando è stato rialzato di 20 metri e nel 1178 quando l’abate Gherardo lo fece completare con una cella campanaria superiore”. Il restauro è durato dal 2005 a tutto il 2006 ad opera della ditta Fraccaroli – Leonello e dell’architetto Fabio Pachera.
Principali restauri. Il livello di degrado del campanile era altissimo. Villani ha parlato di “un esterno caratterizzato da un vistoso fenomeno di alterazione cromatica e di alveolizzazione delle pietre, parti mancanti e fessure che pregiudicavano la tenuta del campanile stesso. Nella sommità era inoltre presente vegetazione in gran quantità da rimuovere; i bancali su cui poggiano le colonne erano invasi da depositi di guano”. Quali sono stati i principali interventi? Dopo aver citato i tre principi base del restauro – minimo intervento, compatibilità e reversibilità – Giovanni Villani ha parlato di “un consolidamento strutturale per quanto riguarda la cuspide con anche il ripristino dell’antico solaio. Quanto alla parete esterna e l’ampia porzione laterizia rovinata si è agito con l’aggiunta di malta e in alcuni casi con la sostituzione dei mattoni. I pinnacoli sono stato smontati e rimontati con l’inserimento di un tubo in acciaio per favorirne la tenuta”. Un ultimo riferimento, infine, alle campane di San Zeno, le più antiche della città, di cui tre risalenti al XV secolo e una al XVIII. “Sono state spazzolate a mano con delicatezza per non alterarne l’originale colorazione bruna”, ha concluso Villani.
“Il rosone di San Zeno e gli orologi notturni di pietra”. Critico e analitico l’intervento di Paolo Forlati che ha parlato del rosone di San Zeno come di “una tonda e geometrica architettura in marmo bianco e rosso ammonite risalente all’VIII secolo e nata con la funzione di orologio notturno e di astrolabio. L’arcidiacono Pacifico fu il primo a mettere a punto la formula del segnatempo. Incorniciato da quattro cerchi astronomici memori di discipline celesti” – ha proseguito Forlati – “ il volgo ha intravisto nella forma circolare del rosone l’immagine della Ruota della Fortuna e così l’ha battezzato”. Dopo il terremoto del 1117 il rosone fu restaurato senza però alcuna cognizione di causa, venne cioè “sfalsato lo scopo del segnatempo. I personaggi” – ha chiarito Forlati – “furono interpretati nel segno della Fortuna. Non più, ad esempio, come le raffigurazioni del solstizio d’estate – in alto – e del solstizio d’inverno – in basso – , ma come personaggi – quelli vestiti – che ascendono al Paradiso e altri – quelli nudi – che se ne allontanano. Nonostante le errate interpretazioni” – ha concluso Forlati – “il rosone di San Zeno resta un grande astrolabio e come tale va letto”