Il nuovo Rapporto AlmaLaurea sulla condizione occupazionale dei laureati italiani ha coinvolto oltre 210mila laureati con una partecipazione elevatissima degli intervistati: 90 per cento.
La congiuntura economica internazionale è sospesa fra timidi segnali di ripresa ed impatti negativi sull’occupazione. L’Italia vive in modo particolare questo passaggio con un deterioramento nei mercati del lavoro che fa lievitare disoccupazione e scoraggiamento tanto più consistenti nel Mezzogiorno e fra le donne, e che colpisce soprattutto i più giovani.
L’analisi, qui sintetizzata nei suoi aspetti più rilevanti, riguarda i laureati 2008, intervistati dopo un anno, nel 2009, che hanno iniziato a lavorare una volta acquisita la laurea. Rispetto al Rapporto dell’anno passato, che restituiva un quadro occupazionale appena sfiorato dalla crisi mondiale, la situazione quest’anno risulta assai più preoccupante. In un quadro di riferimento a tinte fosche, tuttavia, ciò che fa la differenza nella possibilità di uscita dalla crisi del Paese in un ruolo competitivo nel contesto internazionale è la consistenza e la qualità del capitale umano. Se è vero che ricerca è uguale a sviluppo e sviluppo è uguale a occupazione, obiettivo prioritario è investire di più e in modo più efficiente in formazione e ricerca, come fanno tutti i Paesi più avanzati. Occorre facilitare l’innesto nelle imprese, soprattutto medie e piccole, di alte competenze, scommettere in un futuro che non può fare a meno dei giovani e di un sistema produttivo e della ricerca sempre più protagonista nel Paese.
Approfondire una riflessione di ampio respiro su questo versante, evitando i catastrofismi – certo – ma anche la politica dello struzzo, vuol dire farsi carico di una vera e propria emergenza giovani evitando che alcune generazioni di ragazze e ragazzi preparati restino senza prospettive e mortificati fra un mercato del lavoro che non assume ed un mondo della ricerca privo di mezzi.
Serve una riflessione meno incentrata sulla ricerca delle responsabilità (che in ogni caso non risparmierebbe nessuno) e più interessata all’individuazione delle cause che stanno all’origine dei ritardi, degli sprechi, delle difficoltà, dei malfunzionamenti e delle azioni indispensabili per contrastarle e che adottino per davvero il merito come principale metro di valutazione. Vanno sostenuti, incoraggiati e fatti conoscere molto di più progettualità e successi di tante buone pratiche che sono andate diffondendosi nelle nostre università e nelle nostre realtà aziendali, spesso prive di sostegni economici, senza riconoscimenti e senza clamore, frequentemente per iniziativa di quelli che potremmo definire veri e propri “samaritani della cultura e delle scienze”.
Il fatto che fra i giovani più freschi di laurea 55 su cento concludano i propri studi vantando nel proprio bagaglio formativo un periodo di stage in azienda riconosciuto dal corso di studi (un numero triplo di quello registrato fino al 2000, prima dell’avvio della riforma), ci pare il segnale importante di una nuova stagione di riconoscimento reciproco e di collaborazione fra le forze più attente e sensibili del mondo universitario e del mondo del lavoro e delle professioni.
Molte realtà aziendali anche di piccole dimensioni, si sono rivelate capaci, come dimostrano seri studi, di riqualificarsi sul mercato nazionale e di riposizionarsi su quelli esteri, innestando capitale umano di qualità e così cambiando profondamente il modus operandi dell’azienda, senza mettere in discussione il ruolo dell’imprenditore. Qui sta la chiave per dare una prospettiva concreta ai tanti laureati capaci.
Sarebbe infatti un errore imperdonabile sottovalutare o tardare ad intervenire in modo adeguato a favore delle più giovani generazioni. Quelle generazioni che costituiscono la risorsa fondamentale di ogni paese, particolarmente quella parte di esse animata da forti aspirazioni ideali, supportata da solide intelligenze, disponibilità ad affrontare il nuovo e ad accettare la competizione fondata sulle capacità e sul merito, all’interno ed a livello internazionale. Generazioni tanto più da sostenere con attenzione in una realtà come quella italiana dove esse rappresentano una risorsa scarsa, per di più in difficoltà ad emergere a fronte del crescente invecchiamento della popolazione. In un paese insomma che sembra non essere fatto per i giovani, che li vede a rischio di visibilità, condizionati da “gerontocrazie inamovibili” e dove ci si attende che essi stessi si facciano sentire diventando protagonisti delle scelte strategiche del Paese. Perché negli anni economicamente più critici, nelle campagne si risparmia su tutto ma non sulla semina!