La vita di Luigi Meneghello prima di Libera nos a Malo. Studente modello al liceo Pigafetta di Vicenza, e dell’ateneo patavino, resistente tra gli azionisti (quelli del partito d’azione, intendiamoci) e poi via verso l’Inghilterra. E' questa la scaletta de "Le stagioni di Gigi. Lingua, dialetto e musica nella “roba” di Meneghello" lettura musicale tenutasi martedì 16 marzo alla biblioteca universitaria Frinzi.
Ed anche le canzoni di ieri, o di sempre. Padrone della scena, colloquiale e frizzante Emilio Franzina si è cucito addosso il doppio lavoro di storico, docente di Storia contemporanea a Verona, e conoscitore-cantore di musica popolare. Alle spalle del cattedratico due membri de la Piccola Bottega Baltazar, Giorgio Gobbo e Marco Toffanin l’uno voce cantante e l’altro asse portante.
Reading o forse no. “Piano con le parole, ho sentito dire che questo è un reading – esterna con forzata perplessità Franzina – ma di Reading in tutto lo spettacolo c’è solo la città vicino a Londra dove Luigi Meneghello è andato a vivere” Seduto dietro un’imponente scrivania e circondato da centinaia di libri Franzina quasi sembra voler ricostruire una traccia della memoria collettiva veneta (e non solo). Veneta per l'assiduo uso di espressioni dialettali, collettiva per un inseguirsi di brani di una letteratura, quella di Meneghello che appartiene a tutti. Non sono i testi di Meneghello ad essere musicati ma la realtà storica che lo scrittore di Malo ha vissuto. Dal “Come pioveva”a “Creola”, in aggiunta a veloci trasferte linguistico-musicale in terra germanica con “Lili Marleen”.
Non dimenticar le mie parole, caro tu non sai cos’è… Fuggire dall’incertezza senza il rischio di dimenticare. Ricordi intrisi di musica, Meneghello è la chiave per aprire in misura giusta le parole. Basti rileggere un passaggio di Libera nos a Malo:
"Ci sono due strati nella personalità di un uomo: sopra, le ferite superficiali, in italiano, in francese, in latino; sotto, le ferite antiche che rimarginandosi hanno fatto queste croste delle parole in dialetto. Quando se ne tocca una si sente sprigionarsi una reazione a catena, che è difficile spiegare a chi non ha il dialetto. C'è un nòcciolo indistruttibile di materia apprehended, presa coi tralci prensili dei sensi; la parola del dialetto è sempre incavicchiata alla realtà, per la ragione che è la cosa stessa, appercepita prima che imparassimo a ragionare, e non più sfumata in seguito dato che ci hanno insegnato a ragionare in un'altra lingua. Questo vale soprattutto per i nomi delle cose".
Vale soprattutto per i nomi delle cose. E a Meneghello, giovanissimo come tanti altri della sua generazione, hanno insegnato a ragionare in una lingua tutta differente. Che è quella della guerra. Ancor prima di chiudere con gli studi universitari poco più che ventenne Meneghello dalla puerizia passò alla Resistenza. Fu di lì a poco, quando il conflitto si concluse che conobbe la futura compagna. Meneghello in un suo testo ricorda così l’incontro con la moglie Katia: (…) e guardavamo il cielo stellato. E a un certo punto le ho chiesto: “Signorina Bleier voi credete in Dio?”, “No” ha detto lei. E io mi sono detto :”Questa qui la sposo”. Una ragazza piacente, vivace, straniera, culturalmente attraente (perché siamo esterofili), che viene da una famiglia di ebrei osservanti e non crede in Dio .