L’università ha testato un nuovo strumento per l’analisi non invasiva delle opere d’arte alla sala Morone del convento di San Bernardino.
Scienza e arte: gli esiti della collaborazione. L’ateneo è stato scelto per testare una nuova strumentazione scientifica molto promettente, uno spettroscopio Ft-It, messo a disposizione dalla ditta tedesca Brucker al Laniac, il Laboratorio di analisi diagnostiche non invasive per le opere d’arte antica, moderna e contemporanea dell’università diretto da Loredana Olivato. “Si tratta di una delle prime applicazioni al mondo di tale strumento che si auspica possa arrivare a definire quali parti dei dipinti murali sono dipinte davvero a fresco oppure a secco, con significative implicazioni sulla futura conservazione – ha spiegato Olivato – Un affascinante quanto misterioso ciclo affrescato, risalente ai primi anni del Cinquecento, messo sotto la lente d’ingrandimento grazie a un progetto approvato dai Musei civici e dalla Soprintendenza di Verona e coordinato da Monica Molteni, docente di Storia delle tecniche artistiche e del restauro dell’ateneo scaligero”.
Le collaborazioni. Monica Molteni ha studiato la sala dal punto di vista conservativo dall’ ‘800 in avanti, e nel suo lavoro si è avvalsa di una serie di documenti di archivio sia cartacei che fotografici.
L’aspetto iconografico della sala è stato invece oggetto della tesi di Alessandra Zamperini, esperta di pittura veronese di inizio ‘500, che ha identificato tre temi fondamentali: la celebrazione dei francescani costituita da una sorta di galleria degli antenati, la celebrazione dei donatori e quella dell’Immacolata Concezione, soggetto quest’ultimo molto diffuso tra la fine del ‘400 e l’inizio del ‘500.
E’ stato Gianluca Poldi, il fisico che ha collaborato con l’equipe di studio, a parlare dello strumento arrivato dalla Germania. “L’apparecchiatura – ha dichiarato – è uno spettrometro FT-IR, cioè lavora nelle bande dell’infrarosso e legge le vibrazioni delle molecole. Nell’usare questo apparecchio è utile partire avendo già immagazzinato dei dati con altri tipi di strumentazioni. Prima infatti abbiamo effettuato altri due tipi di analisi per riconoscere i materiali delle zone dipinte della sala. Siamo partiti da analisi elementari che ci hanno permesso di identificare gli elementi chimici presenti – analisi Xrf – a cui si sono aggiunte analisi di spettrometria in riflettanza nel visibile, cioè il riconoscimento delle molecole solo dello strato superficiale. Entrambe – ha aggiunto il fisico – hanno fornito informazioni diverse ma complementari circa i pigmenti, ma non sui leganti eventualmente usati. Il vantaggio del macchinario di oggi è che ci dà informazioni sui leganti, che dovrebbero essere presenti nelle parti dipinte a secco. Si tratta di una tecnica non invasiva, cioè non richiede prelievi, ed è altamente portatile”.
L’arrivo in Italia del macchinario è stato possibile grazie all’interessamento di Francesca Monti, docente di Fisica alla facoltà di Scienze Matematiche dell’università scaligera. Responsabile del laboratorio di microspettroscopia nell’infrarosso Iris – Infra Red for Interdisciplinary Studies, ha dichiarato: “Al laboratorio abbiamo uno strumento della ditta Brucker, uno spettrometro che lavora sempre nell’infrarosso ed è accoppiato ad un microscopio. Da anni collaboro con questa ditta, molto aperta a sviluppi nuovi. Per venire incontro all’esigenza della diagnostica delle opere d’arte hanno sviluppato lo strumento di oggi che è molto compatto e versatile”.
Il volume. Il progetto della sala Morone sta riservando importanti sorprese che daranno nuova luce agli studi di questo ciclo pittorico e che confluiranno nel secondo volume della collana “Tra visibile e invisibile – Quaderni del Laniac dell’Università di Verona”, diretta dai docenti Loredana Olivato, Enrico Maria Dal Pozzolo e Monica Molteni. “I risultati delle nuove analisi e i dati del restauro realizzato negli anni ‘90 vorrebbero insegnare un metodo alla città di Verona nel lavorare sul suo patrimonio” ha concluso Gianluca Poldi.