“Il bisogno di tornare a confrontarmi con i luoghi dove il trauma si è consumato, questo mi ha portato a tornare in Iraq”. E’ così che ha introdotto il suo ultimo libro Giuliana Sgrena, la giornalista rapita a Baghdad nel 2005 ospite al Polo Zanotto in un'iniziativa promossa dal corso di laurea in Scienze della comunicazione. In un'aula gremita di studenti la Sgrena ha presentato il suo ultimo libro ‘Il ritorno. Dentro il nuovo Iraq’, edito da Feltrinelli. All’incontro erano presenti i docenti di Filosofia politica Olivia Guaraldo e Lorenzo Bernini. Ha introdotto Guido Avezzù, preside della facoltà di Lettere e Filosofia.
La parola all'autrice. Questo testo, che racconta il ritorno della giornalista dopo il rapimento del 4 febbraio 2005 a Bagdad e la liberazione avvenuta un mese dopo in circostanze drammatiche che hanno portato all’uccisione dell’agente dei servizi segreti italiani Nicola Calipari, ha suscitato delle polemiche. “I media mi accusano di essermela andata a cercare”, ha detto sostenendo la falsità di quest’accusa. Un cronista di guerra, secondo la giornalista, non può stare chiuso in albergo ad aspettare notizie da internet o dalle fonti ufficiali e non può nemmeno girare sempre al fianco dei militari come fanno i cosiddetti embedded perché la sua visione – in questo modo – è parziale.
Dopo Calipari un pezzo di libertà in meno. Una volta tornata a Bagdad, Sgrena è andata a vedere i luoghi del rilascio e quelli della sparatoria. “Non ho riconosciuto i posti”, ha detto. Ed è stato così che ha capito che non aveva superato del tutto quell’esperienza e che, forse, non la supererà mai perché “Con la morte di Calipari mi è stato portato via per sempre un pezzo di libertà. E’ come se fosse morta una parte di me insieme all’uomo che mi aveva salvata”, ha spiegato. Il racconto degli istanti precedenti al suo rilascio ha fatto calare nel più totale silenzio la platea. "I rapitori mi avevano fatto intendere che l’auto in cui mi avevano immobilizzata in attesa dello scambio degli ostaggi era imbottita di esplosivo e, se le cose non fossero andate come previsto, l’avrebbero fatta saltare in aria". Il primo volto amico che lei ricorda è proprio quello di Calipari che continuava a ripeterle che era libera e al sicuro con lui. Durante il viaggio per l’aeroporto insieme all’agente, lui le raccontava di amici comuni che avrebbero potuto visitare una volta rientrati in Italia. Ma, proprio a poche centinaia di metri dalla meta, quando la giornalista iniziava a realizzare lo scampato pericolo, il ‘fuoco amico’ – come lo chiama Sgrena nel libro – ha ucciso Calipari e ferito lei. “La tragedia si è consumata proprio quando credevo di averla scampata”, ha detto.
Il ritorno: una Bagdad febbricitante. L’Iraq che ha trovato al suo ritorno, quattro anni dopo, è molto diverso da come se lo sarebbe immaginata: donne a volto scoperto in giro da sole la sera, ragazze in jeans per mano a giovani uomini per le vie della città, auto guidate da donne. Tutto questo era inimmaginabile all’inizio della guerra. Eppure, sebbene gli iracheni abbiano manifestato il loro bisogno di libertà votando un partito laico e moderato alle ultime elezioni, incombe la minaccia di un ritorno al potere dei partiti religiosi sciiti. "Se questo dovesse accadere – ha concluso Sgrena – tutti i diritti verrebbero nuovamente compressi e l’integralismo finirebbe per mettere in ginocchio un Paese già provato da anni di dittatura prima e dalla guerra poi. Bisogna confidare nel fatto che, a discapito dell’immagine che dell’Iraq danno i media italiani, il popolo iracheno è quello con il livello più alto di istruzione in Medio Oriente e con la cultura più fervida. Questi elementi possono essere la base per la ricostruzione di un Paese che come ha ricordato l’autrice, se manca di molti mezzi, non manca però della basi".