Ecco la seconda parte dell’intervista che il direttore di Banca Etica, Fabio Salviato, ci ha concesso all’indomani dell’uscita del libro – scritto a quattro mani con Mauro Meggiolaro – “Ho sognato una banca”. Con una scrittura agile, pulita ed efficace vengono descritti (anche attraverso gustosi aneddoti) i primi dieci anni di questo interessantissimo progetto. Un sogno (appunto!) che sembrava impossibile, ma che si è tradotto in realtà grazie allo sforzo di tutti quelli che fino in fondo ci hanno creduto.
La prima parte di intervista (https://www.univrmagazine.it/sito/vedi_articolo.php?id=546) si era conclusa con un pensiero rispetto ai fattori che regolano la vita di una banca. Norme e regole che, al giorno d’oggi, andrebbero (per l’autore) decisamente riviste. Questo per dar modo anche a un certo tipo di imprese, come quelle di piccole o piccolissime dimensioni, di poter accedere al credito.
Uno strumento molto utile per dar fiato all’economia europea (e italiana in particolare) potrebbe essere quello del microcredito. Perché questa forma di investimento ancora oggi tarda a svilupparsi compiutamente?
Come Banca Etica abbiamo studiato molto da vicino tutto ciò che riguarda il microcredito. E’ uno strumento che in Italia avrebbe delle potenzialità enormi. Ora, però, ci sono dei forti vincoli che impediscono la giusta valorizzazione di questo istituto. Limiti anche di tipo tecnico, come ad esempio il fatto che per una banca il costo di una pratica è lo stesso sia per investimenti di poche migliaia di euro, che per quelli molto più grandi. Questo, ovviamente, non ha alcun senso. Proprio in questo periodo, con altri soggetti stiamo lavorando ad una proposta da sottoporre a Bankitalia. Non è semplice perché oltre alla disponibilità finanziaria, bisognerebbe creare delle reti che poi sappiano accompagnare i beneficiari all’interno di un circuito complessivo. Come scrivo nel libro, mi sono recato di persona in Bangladesh per conoscere Muhamed Yunus, colui che per primo ha ideato e realizzato questo sistema del microcredito.
Molti parlano di questo momento di crisi sostenendo che si tratta di una grande opportunità. Lei cosa ne pensa?
E’ proprio così. La crisi deve essere interpretata in questo modo. Mi pare evidente che per uscirne dovremo farlo con modalità differenti da quelle con cui ci siamo entrati. Non sono un catastrofista e per natura prendo le cose dal lato positivo, ma questa non è solamente una crisi finanziaria, fosse solo questo sarebbe il minimo. Siamo nel bel mezzo di una crisi economica, sociale, ambientale, una crisi di valori. E’ un disagio sistemico che pone la nostra società di fronte a un dilemma enorme. Nei prossimi dieci anni si deciderà il nostro futuro. Per la prima volta nella storia l’uomo è chiamato a risolvere problemi che mettono in pericolo la sua stessa esistenza. Dobbiamo cercare di invertire la rotta di questo treno lanciato a folle velocità e al momento abbiamo tutte le possibilità per farlo. Un esempio è la cosiddetta “economia civile”, un’esperienza che coinvolge già qualche milione di italiani. Bisogna, però, sollecitare il mondo della politica rispetto ad iniziative importanti come questa.
Serve una nuova prospettiva, un nuovo modo di vedere le cose quindi.
Questo sicuramente. La Cina ha 250 milioni di famiglie. Secondo lei se tutte loro nei prossimi vent’anni dovessero adeguarsi allo stile di vita occidentale, dove finiremo? Non basterebbero tre pianeti Terra per rispondere alla richiesta di materie prime. Inoltre non è possibile pensare ad un’umanità in cui 800 milioni di persone vivono consumando più di quello che in realtà gli serve, mentre gli altri 4 miliardi vivono al di sotto della soglia dei due dollari al giorno. Possiamo anche costruire dei muri per impedire che si spostino qui da noi, ma certi fenomeni come il cambiamento climatico non si fermano di certo in questo modo. E’ l’intero sistema che deve essere rivisto, tutti gli studi indicano che dovremo cambiare abitudini. Le risorse per poter vivere in maniera decorosa ci sono. E anche le opportunità di business non mancano.
Nuove opportunità che potrebbero arrivare anche dalla cosiddetta Green Economy, un mondo a cui Banca Etica si interfaccia con notevole interesse.
Se solo in Italia sfruttassimo le risorse che abbiamo potremmo creare immediatamente un milione di nuovi posti di lavoro. In Germania le persone occupate in attività che hanno a che fare con le energie rinnovabili sono circa 750mila. Nel nostro Paese al momento siamo fermi a 25mila. Evidentemente c’è qualcosa che non funziona, visto che come sole e vento non abbiamo nulla da invidiare a nessuno. L’altra grande tematica è quella del risparmio energetico. E’ possibile che l’abitazione di un italiano consumi quattro volte di più rispetto a quello di un tedesco? Questo significa veramente buttare i soldi fuori dalla finestra.
Il mondo dell’Università è interessato a tutte queste problematiche che portate avanti con il vostro progetto?
Direi proprio di si. Soprattutto le nuove generazioni mi sembrano quelle più interessate. C’è una nuova sensibilità rispetto a questi temi e questo è un dato importantissimo. Negli ultimi anni siamo stati invitati spesso a conferenze e workshop per raccontare il caso “Banca etica” ed ultimamente si stanno diffondendo corsi e master che trattano il tema della sostenibilità e della finanza etica, cosa che fino a qualche anno fa era impensabile.