Rilasciare il titolo a più di 150 dottori in ricerca per qualsiasi Università è indice di un elevato impegno scientifico. Tanto più lo è per Verona, Università generalista che ha mantenuto un profilo molto attivo su tutti i livelli di formazione, ma che sta dimostrando uno specifico interesse e attenzione crescente alla ricerca, come testimoniato dagli investimenti fatti: (13.328.127Euro nel 2010, di cui5.773.482 solo per borse di dottorato, 1 milione in più dell’anno precedente) ed ancor più dai risultati raggiunti: 30 progetti nell’ambito del VII programma quadro per un valore di 17 milioni di euro, 34 progetti approvati ma non finanziati ed uno starting grant (ricerca di frontiera) di 1.220.000 euro ad una ricercatrice che merita di essere ricordata, la dottoressa Gabriella Costantin della Patologia generale. E poi una anagrafe dei prodotti della ricerca che annovera 55.000 pubblicazioni scientifiche, 8 società spin-off e, finalmente, un Protocollo di intesa con Per innovare, società di Confindustria Verona, finalizzata ad iniziative congiunte a favore dell'innovazione tecnologica delle imprese, con il proposito di promuovere il dialogo tra mondo della ricerca e mondo imprenditoriale, per poter veicolare alle imprese il patrimonio di ricerca applicata generata in ambito accademico, e fare sì che le stesse, a loro volta, scambino con le strutture dell'Ateneo le proprie esperienze tecniche e commerciali.
Vi dico questo non certo per celebrazione di questa Università, sarebbe veramente fuori luogo ma perché voi domani entrerete nel mercato del lavoro. Ci sarà chi continuerà la sua attività nel mondo della Università, chi si rivolgerà alla pubbliche istituzioni, chi al mondo produttivo. Allora è un nostro preciso dovere porci una domanda:
Le Università italiane sono attente alle richieste del mercato del lavoro? E’ una domanda molto complessa cui non si può rispondere in maniera univoca se non con uno sbrigativo non abbastanza. Da quanto sopra, è evidente che il problema è ampiamente percepito, molto si va facendo. Bisogna però fare molto di più , cosa che si potrà realizzare solo attraverso un a bilaterale apertura ad obiettivi comuni e condivisi, nella consapevolezza che – sono parole di Angel Gurria, segretario generale dell’OCSE – “la ricerca costituisce un investimento essenziale per rispondere alle evoluzioni tecnologiche e demografiche che ridisegnano il mercato del lavoro” .
Con specifico riferimento alla produzione industriale, è necessario che si arrivi a poter condividere alcuni elementi fondamentali quali la accelerazione dei processi di produzione, la diffusione e valorizzazione globale delle conoscenze, l’accentuazione delle complementarietà tra esperienze e competenze di domini scientifici diversi. Ad esempio, è di grande attualità il valore strategico della ricerca interdisciplinare riconoscibile in nanoscienze, infoscienze e bioscienze, che da una parte stanno rivoluzionando il sistema produttivo, dall’altra accentuano la necessità di crescente integrazione tra scienza e tecnologia. Se si è innalzato il contenuto scientifico delle nuove tecnologie, contemporaneamente, è aumentato il contenuto tecnologico dell’approccio scientifico. Per questo, quanto più le attività produttive diventano di frontiera, tanto più le conoscenze assumono il significato di una componente di sistema e il metodo diventa comune a chi produce le conoscenze e a chi le applica. Da qui la necessità della promozione di collaborazioni e integrazioni tra attori scientifici ed economici, pubblici e privati, nuovo mondo che si sta dischiudendo alle nuove generazioni, a voi nuovi ricercatori.
Fare ricerca nei settori ad alta intensità tecnologica costa molto, non solo in termini strutture ed infrastrutture, ma di capitale umano molto qualificato, manutenzione e aggiornamento delle dotazioni. Tutto questo impone che anche le strutture pubbliche, oltre ad orientare i propri programmi formativi in maniera più sensibile agli specifici indirizzi di sviluppo del mondo produttivo, siano anche in grado di partecipare agli investimenti su progetti scientifici operando delle allocazioni selettive, che sono invece largamente incompatibili con le attuali logiche spartitorie proprie delle pubbliche amministrazioni, cui l’Università purtroppo non si sottrae, contribuendo così a generare una perversa polverizzazione di risorse.
La parola “ricerca” in Italia è tanto inflazionata quanto senza seguito:
l’ultimo rapporto MIUR sugli Atenei segnala che in un anno la spesa per ricerca delle Università è diminuita del 5,8%.Rispetto al PIL, nello stesso periodo, l’investimento è passato dallo 0,36 allo 0,33% e rispetto alla spesa per ricerca dell’intero Paese dal 32,8 al 30,2%.
Il sistema nazionale di ricerca pubblico ha ancora una bassa propensione all’applicazione dei risultati della ricerca: pochi brevetti, poche collaborazioni con imprese sia italiane che straniere e relativamente pochi spin off.
Sull’altro versante, quello degli investimenti privati in R&S , questi evidenziano una ancor più profonda e consistente distanza dalla media europea: 0,55 rispetto all’1,17% del PIL, dato impressionante, per quanto influenzato dalle differenze nelle dimensioni delle imprese attive.
Tuttavia, non tutto è negativo: questo Paese e, soprattutto, le Università stanno producendo con velocità apprezzabile sulla consistenza del patrimonio intellettuale, di cui voi siete un ottimo esempio: il personale impegnato attivamente in ricerca nelle Università italiane è aumentata del 10%, fino a 67.000 unità circa, valore corrispondente al 38,2% di tutto il personale di ricerca italiano. In particolare, i ricercatori universitari rappresentano il 45% di tutti i ricercatori del Paese. Il Ministro Mussi, durante la scorsa legislatura intraprese un programma di sostanziale incremento del personale addetto alla ricerca, stanziando 140 M in tre anni nel reclutamento di ricercatori finalizzato ad incrementare il capitale umano disponibile. Purtroppo, non sono per niente certo che di queste risorse straordinarie – delle quali forse non si ha sufficiente apprezzamento in tempi tanto bui– le Università abbiano fatto un impiego coerente con la finalità della manovra. Ma questo è un altro degli aspetti che contribuiscono alla immagine negativa delle università italiane e confermano l’urgenza di una riforma.
Ma vi è un altro settore di investimenti privati che merita di essere ricordato perché , negli ultimi anni, ha avuto un ruolo sempre più importante nel finanziamento alla ricerca scientifica, in particolare nella misura in cui ha saputo conservare la propria volontà di progettualità e di qualità. Tra questi è doveroso ricordare i 247 milioni di euro destinati nel 2007 da parte delle Fondazioni di origine bancaria al sostegno di iniziative di ricerca e sviluppo tecnologico, certamente aumentati negli ultimi tre anni e, soprattutto, resi disponibili ad interessanti Joint venture pubblico-privato cui seppur con grande ritardo anche le nostre pubbliche istituzioni stanno cominciando a guardare.
Il mio messaggio, cari dottori, vuol essere positivo: la vita per i ricercatori non è mai stata in discesa. Tuttavia, malgrado il momento di grandi restrizioni, ci sono anche in Italia e, comunque, in un vastissimo mondo globalizzato esistenti e crescenti possibilità e richieste di talenti scientifici. Voi avete compiuto un pesante, difficile percorso che vi ha conferito un enorme potenziale di conoscenza in grado di generare ulteriore conoscenza. Sfruttatelo appieno, evitando di cercare dietro l’angolo di casa l’occasione che con grande probabilità lì non riuscirete a trovare. Valorizzatelo in ambito internazionale e, soprattutto, ricordatevi che l’Università in Italia come in tutto il mondo sviluppato, non è una alternativa mutuamente esclusiva rispetto al mondo produttivo, non viene né prima né dopo, è una preziosa opportunità per generare, in cooperazione agli ambiti applicativi appropriati, sviluppo ed innovazione che rappresentano il frutto primario, la ricchezza principale che l’intelletto umano è in grado di realizzare. E poiché l’impegno, la dedizione, la determinazione riescono ad esprimersi al massimo se si imbattono nella opportunità, vi faccio il migliore augurio che non vi manchi una buona dose di fortuna.
di Alessandro Mazzucco