Intervista a Camilla Litterotto e Maria Antonietta Bergamasco, laureande in Scienze Pedagogiche e a Ileana Bogoni, laureanda in Giurisprudenza. Le tre studentesse hanno preso parte al progetto “Il carcere entra a scuola. La scuola entra in carcere”. Un’ esperienza formativa di grande impatto emotivo, crescita professionale e umana.
Come siete venute a conoscenza dell'iniziativa?
Ileana Bogoni: Grazie ai docenti della facoltà di Giurisprudenza. Devo a loro la scoperta e il successivo interesse che ho mostrato nei confronti di tale progetto. Sul sito della mia facoltà e in quello della facoltà di Scienze della Formazione è comunque presente il bando a cui tutti possono aderire. Il tirocinio in carcere è durato sei mesi preceduto da alcune settimane di sola formazione.
Tra i tanti ragazzi che hanno preso parte all’iniziativa, perché solo voi siete chiamate a darne testimonianza?
Camilla Litterotto: io e Ileana stiamo scrivendo una tesi basata sul progetto "Il carcere entra scuola. La scuola entra in carcere". Per partecipare al bando vi era l’obbligo di essere studenti della laurea specialistica. Noi tre abbiamo presto parte al progetto l’anno scorso, alcuni si sono già laureati, altri si sono trasferiti. E cosi eccoci, a pochi giorni dalla laurea e con un bagaglio di esperienze molto ricco.
Qual è stato il primo impatto con la realtà del carcere?
Ileana Bogoni: il primo giorno è stato traumatico. Ero carica di buoni propositi, emozionatissima, avevo i miei "progetti mentali", i miei discorsi strutturati da giorni e mi è crollato tutto. Ti aspetti una cosa e si rivela l’opposto.
Maria Antonietta Bergamasco: Partivo con il desiderio di fare molto e di dare tanto. Al mio ingresso ingenuamente pensavo di poter dare un aiuto concreto, delle risposte, ai detenuti. Mi sbagliavo. Sono uscita frastornata, con la sola voglia di fermarmi a riflettere e pensare.
Camilla Litterotto: Sorrido al pensiero. Emozionata. Avevo la possibilità di entrare in una realtà che vedevo solo dall’esterno ed ero euforica.
Quale episodio vi resterà nel cuore?
Camilla Litterotto: Importante è rendersi conto che i detenuti sono esseri umani come noi. Bisogna allontanare tutti i pregiudizi che alle volte offuscano la nostra mente. La prima volta che mi sono ritrovata da sola con un detenuto in isolamento ho avuto paura. Lui è entrato nella stanza, si è chiusa la porta e io ho sospirato profondamente con faccia terrorizzata. L'ho guardato, aveva provato la mia stessa sensazione, anche lui aveva avuto paura. Ho sorriso, mi sono fatta forte: è uguale a me.
Cosa vi ha trasmesso quest’esperienza?
Camilla Litterotto: Nei mesi successivi al tirocinio in carcere più volte ho avuto modo di raccontare l’operato. Mi porterò sempre dentro il ricordo di quest'esperienza. La cosa che più mi ha fatto riflettere e che continua a darmi motivo di analisi personale è il valore della libertà. Per i detenuti tu rappresenti l’unico squarcio di luce verso il mondo esterno. Ciò ti carica da un lato di responsabilità, dall’altro ti fornisce forti emozioni che alle volte non riesci a gestire. Parlando con loro mi sono resa conto di quanto il filo tra chi è dentro e chi è fuori è sottile. Un passo falso e sei dentro per i reati più vari.
Maria Antonietta Bergamasco: C’è un film che consiglio a tutti “Ti amerò sempre” basato su un'esperienza simile a quella che abbiamo vissuto. C’è una frase che ricorre: “nulla sarà mai come prima”. Ed è una frase in cui mi rispecchio molto perché tale esperienza ha fatto si che io ridisegnassi i miei pensieri, i miei modi di vedere le cose, le mie priorità. Rendersi conto del fatto che le stesse persone che ritrovi in carcere le trovi anche fuori, e che fuori non c’è una rete attiva di persone che accompagnano i detenuti alla riscoperta della vita, è una cosa disarmante che ritiene un impegno morale molto forte.
Un consiglio per gli studenti che si preparano ad affrontare tale realtà?
Maria Antonietta Bergamasco: Non dare mai un’etichetta. E fidarsi del luogo in cui si trovano con umiltà senza dare nulla per scontato.
Camilla Litterotto: Cosa importante è ricordarsi sempre che il carcere non è un luogo esclusivamente punitivo. Esso rappresenta un luogo per crescere, per capire, per accompagnare chi sbaglia nel lungo e non facile cammino verso la libertà. E’ per questo che si dovrebbero spendere più risorse ed energie per migliorare le persone, per migliorare la società.