L’Università italiana è generalmente percepita come istituzione rigida, poco incline al confronto con il mondo esterno e meno ancora al cambiamento. Lo stereotipo della cittadella accademica arroccata in difesa dello status quo è ancora molto diffuso, nonostante un trentennio di continue modificazioni del quadro normativo di riferimento abbia in realtà condotto gli atenei ad entrare in una logica di maggior dinamismo. I profondi mutamenti dello scenario sociale ed economico, inoltre, variamente recepiti dai singoli atenei, sfidano al cambiamento e all’apertura alla cultura manageriale quale fattore determinante per garantire sostenibilità e futuro al sistema universitario. Sul tema Bettina Campedelli, ordinario di Economia aziendale e prorettore vicario dell’Università di Verona è intervenuta a Stresa, in occasione dell’ottava edizione del Codau, Convegno permanente dei direttori amministrativi e dirigenti delle università italiane. Ne pubblichiamo un estratto che la docente ha rielaborato per il nostro Magazine. “Il ruolo che il management universitario può giocare oggi – scrive Campedelli – è fondamentale alla stessa sopravvivenza e sviluppo del sistema universitario, nel senso che al management compete la responsabilità di supportare l’azione decisionale con una sistematica valutazione di sostenibilità delle opzioni perseguibili”. (Mfc)
L’emergente necessità di un pieno riconoscimento da parte della componente accademica della cultura manageriale e dell’utilità degli strumenti che le sono propri è un effetto del cambiamento. La managerialità appartiene ad un approccio gestionale orientato al futuro che fa propria la logica del miglioramento, dell’apprendimento, della promozione della qualità delle performance. Nonostante l’attività previsionale sia prassi amministrativa consolidata nelle università – che dalla riforma degli anni ’80 in poi applicano prevalentemente regolamenti per l’amministrazione e la contabilità che disciplinano la redazione di un bilancio di previsione e di un conto consuntivo redatti in termini finanziari di competenza – ciò che sembra oggi veramente mancare al sistema universitario oggi è l’effettiva implementazione di strumenti di programmazione e valutazione delle performance. Si tratta di una necessità non più procrastinabile, di cui l’accresciuta complessità delle attività istituzionali e la criticità delle risorse hanno acuito l’urgenza, ma che, di fatto, discende da molteplici criticità.
Da un lato è divenuta sempre più insostenibile la contraddizione intrinseca della contabilità finanziaria per la quale il bilancio costituisce, al tempo stesso, il principale strumento di contabilità esterna (per il suo carattere formale nei confronti degli stakeholder e degli organi formali di controllo) e di contabilità interna (per la sua logica autorizzatoria); dall’altro, il carattere di breve periodo ha mostrato i suoi limiti di fronte all’assunzione di scelte di lungo periodo (assunzione di personale di ruolo, investimenti immobiliari, upgrading dei dipendenti, ecc.), in assenza di qualsiasi strumento di analisi della sostenibilità degli investimenti. Inoltre la crescente esigenza di risorse strutturali, che sempre più sono decisive nel condizionare la capacità produttiva e la qualità degli output, non consente alle università di perseverare nella quasi totale inconsapevolezza della consistenza e del valore del proprio patrimonio materiale e immateriale.
Infine, essendo prevalentemente i prodotti delle attività istituzionali – formative, di ricerca, di trasferimento di tecnologie e competenze e di servizio – misurabili con il ricorso a parametri fisico-quantitativi e qualitativi, non appare di fatto realizzabile alcun governo degli atenei fondato sulla sola prospettiva finanziaria. Del resto è la natura stessa dell’università – intesa come insieme di processi tra loro interdipendenti (per questo è definito sistema) che sono sottoposti al vincolo economico (utilizzano beni limitati rispetto ai bisogni) e quindi devono essere condotti e governati in conformità a conoscenze di natura economico-aziendale – che richiede un approccio gestionale la cui adozione è oggi solo resa più urgente dal più stringente vincolo di disponibilità delle risorse. Tutto ciò impone al management universitario la padronanza e l’impiego di strumenti di monitoraggio dell’economicità intesa come sintesi di:
Efficacia: capacità di perseguire le finalità istituzionali,
Efficienza: capacità di ottimizzare l’impiego delle risorse,
Continuità aziendale a valere nel tempo: capacità dell’istituzione di rispettare le condizioni di equilibrio economico, patrimoniale e finanziario.
Va ribadito che il richiamo al concetto di economicità non comporta scelte di campo condizionate da una logica di mercato o di scambio, né tantomeno implica una prevaricazione di valutazioni economiche sulle finalità proprie delle istituzioni accademiche; al contrario esso è teso a garantire la capacità dell’ateneo di raggiungere gli obiettivi che autonomamente si è posto, attraverso una tensione all’ottimizzazione del rapporto tra risultati ottenuti e risorse impiegate e grazie alla verifica di congruità tendenziale tra il patrimonio di risorse disponibili e gli investimenti necessari allo svolgimento delle attività istituzionali.
In tal senso il ruolo che il management universitario può giocare oggi è fondamentale alla stessa sopravvivenza e sviluppo del sistema universitario, nel senso che proprio al management compete la responsabilità di rendere compatibile il carattere duraturo delle decisioni più significative con il carattere tendenzialmente provvisorio e variabile degli indirizzi di governo dell’ateneo e delle pressioni ambientali. Si tratta, in buona sostanza, di svolgere un’azione di contemperamento degli interessi in gioco a garanzia della continuità dell’istituzione universitaria.
L’implementazione di strumenti di pianificazione e valutazione delle performance in ambiente universitario ha allora un preciso valore istituzionale, che si realizza concretamente nel garantire che ogni decisione assunta sia frutto consapevole di un processo articolato nelle fasi della conoscenza, previsione, programmazione e valutazione. Si tratta, cioè di dare continuità all’azione direzionale delle università che – pur frammentata nel tempo dall’alternanza di gruppi di governo che legittimamente possono orientare in maniera anche diametralmente opposta le politiche di sviluppo di ateneo – deve poter contare sul rispetto di quelle condizioni minimali di efficacia, efficienza ed equilibrio economico, finanziario e patrimoniale che sono il presupposto necessario alla sua sopravvivenza.
Ciò si realizza nel continuo rinnovarsi del ciclo di programmazione e controllo, ben noto alle scienze economico-aziendali, in cui si afferma il ruolo centrale della valutazione. Va ribadito come la valutazione delle performance universitarie non va concepita né come sanzione alla mancanza di qualità, né quale incentivo all’eccellenza, ma va propriamente intesa come tensione al miglioramento della qualità diffusa in tutte le attività istituzionali: dalla formazione, alla ricerca, al trasferimento di tecnologie e competenze, ai servizi e alle stesse attività amministrative. In tal senso la valutazione assume anche un importante ruolo di garanzia contro l’affermazione di qualsiasi forma di pensiero prevalente, poiché è tesa alla valorizzazione di centri e strutture diverse, al bilanciamento delle risorse disponibili, alla tutela e allo sviluppo della capacità e dell’iniziativa dei singoli individui e di tutte le aree disciplinari, diversamente dotate di peso politico ed economico. La costruzione di un sistema di programmazione e valutazione delle performance in ambiente universitario non incontra insormontabili difficoltà tecniche. Alcuni atenei hanno del resto già maturato un’esperienza consolidata nella strutturazione di:
Cruscotti direzionali: sistemi integrati di KPI, indicatori atti a monitorare, in una logica sintetica e multi prospettiva di analisi, l’andamento delle performance delle attività istituzionali a livello di ateneo e di strutture decentrate;
Modelli di controllo dei costi: che, costruiti su basi analitiche di allocazione ai centri amministrativi e alle strutture decentrate di ricerca e didattica, consentono di dare maggiore concretezza ai processi interni di allocazione delle risorse e, al tempo stesso, concorrono a un rafforzamento delle responsabilità nell’obiettivo di miglioramento delle performance in termini di efficacia, efficienza e qualità delle attività istituzionali;
Documenti di formulazione strategica: che sono finalizzati alla formalizzazione e alla comunicazione – all’interno così come all’esterno dell’organizzazione universitaria – della missione peculiare che ciascun ateneo intende riconoscersi e degli obiettivi strategici che ritiene di perseguire in un predefinito orizzonte temporale;
Piani ad orizzonte di medio-lungo periodo: che, costruiti su base complessiva di ateneo e su appropriate simulazioni di scenario, consentono di prefigurare la sostenibilità complessiva delle scelte operate relativamente alle dotazioni strutturali e ai contenuti delle attività. Si tratta di piani che consentono la valutazione prospettica delle condizioni di equilibrio economico, patrimoniale e finanziario dell’istituzione e che si sostanziano nell’analisi congiunta delle risorse disponibili e dei caratteri della spesa, con particolare riguardo ad aspetti tecnici quali: la dimensione complessiva, la fonte di provenienza e i termini di disponibilità, il livello di rigidità e le dinamiche intrinseche di crescita.
Budget e di analisi degli scostamenti: che, analiticamente articolati su centri di responsabilità, attività o specifici progetti, consentono la programmazione dei risultati di una serie di azioni, la misura dei risultati di queste azioni, la valutazione degli scostamenti tra risultati pianificati e risultati effettivi e l’introduzione di azioni correttive.
L’esperienza e le competenze necessarie all’introduzione dei principali strumenti di programmazione e valutazione delle performance sono dunque acquisibili da ogni ateneo con impatti di carattere organizzativo e procedurale del tutto accettabili, mentre ciò che, di fatto, può essere complesso è l’effettiva implementazione e il loro efficace utilizzo ai fini di supporto alle scelte di governo e di rendiconto. Operare affinché ciò avvenga credo sia oggi una delle massime responsabilità del management universitario.
Quale ruolo e quali competenze oggi per il management universitario?
Le numerose sollecitazioni al cambiamento nei modelli e negli strumenti propri del management universitario – di cui si sono approfonditi solo alcuni tra gli aspetti che paiono di particolare spessore – implicano anche la conseguente necessità di sottoporre a una verifica il ruolo e le competenze professionali necessarie, così da porre in luce le eventuali esigenze di riqualificazione.
Credo vada in primo luogo sottolineata la necessità che il sistema universitario si confronti con il tema della valorizzazione del proprio personale amministrativo troppo spesso considerato a torto quasi secondario rispetto al personale accademico, poiché il ruolo di supporto amministrativo è fondamentale nello svolgimento di tutte le attività: dalla ricerca, alla didattica, ai servizi, al trasferimento di tecnologie e competenze.
È tuttavia fondamentale che management universitario esca oggi definitivamente dal limbo burocratico, affermando diffusamente la capacità di una performance elevata, che è sintesi di conoscenze, atteggiamenti e comportamenti individuali e di capacità collettive di processo e di organizzazione. In termini di ruolo, è oggi richiesto al management universitario un approccio problem finding e problem solving che discende da un sistema di monitoraggio ben funzionante e da una radicata volontà di risolvere i problemi appena questi si presentano. In termini di competenze, ciò che è oggi richiesto al management universitario non è dissimile dall’evoluzione che ogni contenuto professionale porta con sé nella sua naturale dinamica, che può anche comportare alcuni momenti di rilevante discontinuità.
Oltre ad una diffusa esigenza di continuo aggiornamento, in tali circostanze possono emergere fabbisogni di nuove competenze – prima ritenute estranee a quel particolare ambiente – che, peraltro, spesso presentano skill molto specifici. Nell’università di oggi tali competenze sono quelle necessarie, ad esempio, alle attività di comunicazione, alla logistica di supporto, alla contrattualistica concernente le molteplici modalità di trasferimento di tecnologie e competenze scientifiche, alle attività di fund raising, alla divulgazione scientifica, ecc., che sono, generalmente, da ascriversi a figure di livello direzionale intermedio. Il management universitario è però oggi chiamato soprattutto a un importante salto culturale, anche nelle sue figure apicali, grazie al quale farsi promotore di un’innovazione amministrativa diffusa, sulle cui basi concorrere a un vero rilancio del sistema universitario italiano.
Il management universitario deve essere in grado di far propria la cultura strategica che implica la capacità di sviluppare una visione che sia, al tempo stesso, sistemica dell’istituzione complessa della quale hanno la responsabilità direzionale e sinergica delle sue differenti componenti, le quali, tutte, portano in sé enormi potenzialità di contributo allo sviluppo e alla trasmissione della conoscenza. Solo una visione sistemica dell’università – intesa come istituzione radicata nel proprio territorio di riferimento e inserita nei circuiti internazionali della ricerca, dell’innovazione e dell’alta formazione – consente di riconoscere i percorsi atti a salvaguardare la sopravvivenza del sistema nel tempo, attraverso il conseguimento di condizioni di equilibrio tendenziale.
Solo una visione sinergica delle sue componenti – fatte di risorse e di competenze distintive – consente di prefigurare gli obiettivi strategici e i percorsi gestionali atti a perseguire l’affermazione del sistema attraverso la definizione e il raggiungimento della propria esclusiva missione. Se l’alta direzione degli atenei possiede o è in grado di sviluppare entrambe queste capacità di analisi credo che possa oggi giocare un ruolo fondamentale nei processi di governo, anche alla luce del cambiamento in atto nel quadro normativo e ambientale di riferimento. Il management può cioè essere, al tempo stesso, garante dell’istituzione universitaria vista nel suo profilo oggettivo – l’azienda università – e supporto professionale dell’istituzione universitaria vista nel suo profilo soggettivo – che è fatto dai diversi individui che partecipano alle attività universitarie e ne indirizzano i percorsi.
Concretamente ciò implica la padronanza tecnica degli strumenti informativi, di programmazione e valutazione delle performance di cui si è detto in precedenza e la loro implementazione con una visione al tempo stesso sistemica di ateneo e sinergica delle sue strutture decentrate, affinché tali strumenti possano rappresentare non un tecnicismo gestionale da considerare come una diminutio culturale o un adempimento amministrativo da lasciare ai burocrati, ma una bussola stabilmente disponibile a supporto di coloro che, temporaneamente, reggono il timone dell’ateneo.
Concretamente ciò implica agevolare l’ateneo nell’individuazione della propria missione – che chiarisce il ruolo che intende svolgere e la posizione che intende occupare nel complessivo sistema internazionale della ricerca, dell’innovazione e dell’alta formazione – e implica supportare la formulazione delle scelte strategiche – che definiscono la tipologia dei bisogni e delle attese dei diversi stakeholder che è possibile e desiderabile soddisfare, individuando i soggetti con i quali intrattenere rapporti competitivi e di collaborazione.
Concretamente ciò implica contribuire a riaffermare che l’università è al servizio della collettività per mandato della quale assolve alcune funzioni tutte parimenti fondamentali: la costruzione culturale delle classi dirigenti, la formazione di elevate professionalità, l’ampliamento delle frontiere del sapere attraverso la ricerca scientifica, l’impulso alla crescita del sistema economico attraverso il trasferimento di tecnologie e conoscenze, il continuo rinnovo del patrimonio di competenze scientifiche e didattiche per la perpetuazione dell’università stessa.