Ci sono ricorrenze che rischiano di passare inosservate, che vengono riassorbite dal fluire dei giorni, dall’inerzia della quotidianità. Accade agli anniversari, in particolare, perché col tempo si perde il senso dell’accadimento, pubblico o privato, che li ha originati. Perché non si ricordano le emozioni legate a quegli avvenimenti, perché si inaridisce la fonte del ricordo. Ma un tale destino non si è ancora accanito sul Giorno della Memoria, il 27 gennaio che ci pone ogni anno a confronto con quella stagione della storia dell’umanità che fu segnata dall’accanimento della specie umana contro se stessa e dallo sterminio di milioni di vittime innocenti ed inermi. Milioni di cittadini europei condannati dalla loro origine ebraica o dall’appartenenza a “categorie” sociali catalogate come indegne di ogni diritto, compreso quello alla vita.
È vivo il Giorno della Memoria anche per l’altruismo di chi, tornato dall’inferno dei lager, accetta ancor oggi di aprirsi alla testimonianza, di schiudere la porta che legittimamente custodisce la stanza del dolore, della perdita, del lutto. Quella porta che ha consentito ai sopravvissuti di separare il prima e il dopo, di arginare il male, di elaborarlo, di ospitarlo dentro di sé. E di continuare a vivere, anche senza poter trovare risposta ai “perché”?
“Perché, perché accade a me, perché?”: si chiedeva Liliana Segre poco più che bambina, mentre intorno a lei crollavano tutte le certezze della sua vita. Era una bambina saggia, una bambina “adulta” la giovanissima Liliana che già capiva di non dover porre agli adulti – il padre amatissimo, i nonni disperati per il suo futuro – domande per le quali non poteva esservi risposta.
La nostra Università ha avuto la possibilità di ascoltare Liliana Segre il 15 dicembre scorso, quando le è stata conferita la Laurea honoris causa in Scienze Pedagogiche. Abbiamo ascoltato la sua voce limpida e musicale, la cadenza quasi salmodiante del suo dire. Parla a braccio, Liliana, con singolare eleganza, senza leggere alcuna traccia. Quasi immersa in una trance. Le parole affiorano nitide, scolpite, legate da un filo logico tenace che mai si ingarbuglia. Il volto è sereno, l’espressione aperta. Si inabissano le parole a raccogliere l’impronta dell’orrore, ad ascoltare l’eco di voci che nessuno ha più udito. Si innalzano le parole ad aprire spiragli di luce, ad esprimere quelle schegge di speranza che Liliana ha saputo trattenere in sé e salvare da ogni straziante umiliazione, da ogni insanabile perdita subita.
Sono schegge di umanità che Liliana ha difeso da ogni possibile deterioramento, anche da un più che comprensibile desiderio di ritorsione o vendetta. Non ha voluto somigliare ai carnefici, Liliana. Ha cercato e difeso la vita, il suo senso più profondo. Ha continuato e continua ad amarla, a voler essere un “essere umano”, nonostante alcuni esemplari di homo sapiens si distinguano dagli altri esseri del regno animale per la ferocia con cui possono annientare i loro simili non obbedendo ad un istinto perverso, ma usando gli strumenti della ragione per perverse finalità di sopruso.
Non basta sfuggire alla violenza, dobbiamo rifiutarne ogni tentazione. È nostro dovere onorare e scegliere la vita sempre. Amarla e cercare la nostra e l’altrui felicità. Il male peggiore per l’umanità è l’indifferenza. Quell’indifferenza che Liliana addita come grande colpa collettiva che determinò il destino di milioni di persone cui fu cancellato il diritto alla vita. La memoria è un dovere. Chi ha ascoltato Liliana Segre non dimenticherà. (Maria Fiorenza Coppari)
Disponibile on-line un'intervista-testimonianza a Liliana Segre (Corriere.tv, 26.01.2011) pubblicata per ricordare la data dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz (27 gennaio 1945)