Leggere la pittura come un romanzo giallo è una delle opportunità che offrono le nuove tecnologie. Lo hanno dimostrato al pubblico di Infinitamente 2011 Loredana Olivato, docente dell’Università e direttrice del Laniac, laboratorio di analisi diagnostiche non invasive per le opere d’arte antica, moderna e contemporanea di ateneo e Paola Artoni, funzionario tecnico del laboratorio nell’incontro “Dentro l’opera d’arte i segreti dell’artista”.
“Indagare quali siano stati gli errori degli storici dell’arte – ha spiegato Olivato – significa capire cosa uno studioso ritiene di vedere nell’opera. In questo senso in Italia siamo viziati da una situazione che negli ultimi due secoli ha visto offrire allo studioso una notevole disponibilità di oggetti, un'abbondanza di inediti a disposizione della ricerca e della capacità del conoscitore di attribuire all'opera un artista, un genere, un ambito. Errori, anche clamorosi, sono stati compiuti, anche perché le regole non erano così ferree e le opere potevano essere esportate con facilità. Dietro ad esse soggiacevano consistenti interessi commerciali: anche i grandi pionieri di questi studi acquistarono opere per rivenderle speculandovi sopra”.
Grazie alle innovative strumentazioni scientifiche in dotazione del Laniac, oltre ad osservare ciò che di un’opera d’arte è visibile ad occhio nudo, è possibile gettare uno sguardo “sotto la pelle” della pittura per raccogliere indizi o ragionare su eventuali errori commessi dall’autore. Così ha fatto Artoni su un dipinto di scuola emiliana dei primi del Cinquecento. A rivelare i segreti nascosti nel quadro è stata una diagnostica per immagini non invasiva condotta in tempo reale attraverso riprese fotografiche di buona qualità, con osservazioni di dettagli tramite macrofotografie, riprese a luce radente. A queste sono state affiancate analisi all’infrarosso che hanno permesso di individuare alcune tracce di disegno sottostante. Grazie poi ad alcuni strumenti all’avanguardia che sfruttano la capacità dei raggi X, in dotazione dell’università di Verona grazie al sostegno della Fondazione Cariverona, è stato inoltre possibile studiare la composizione chimica dei pigmenti utilizzati ottenendo importanti informazione sulla datazione dell’opera e sulla riconoscibilità dei materiali utilizzati durante i restauri del passato.