Siamo soliti pensare che la mafia sia un problema presente solo nel sud Italia. "Qui al nord siamo fortunati, è praticamente un altro Stato". A persuaderci del contrario i protagonisti dell'Antimafia Day, evento che rientra nell'ambito del progetto “Gerbera Gialla” e promosso dal Coordinamento nazionale antimafia “Riferimenti”. Diviso in due appuntamenti, la mattinata è stata dedicata agli studenti delle scuole di Verona, intervenuti numerosi per assistere alle testimonianze di chi con la mafia ha a che fare ogni giorno o, peggio, si è visto togliere a causa sua la libertà e, in alcuni casi, l'affetto dei propri cari.
Chi è intervenuto. A parlare ai ragazzi di questo dramma, apparentemente estraneo alle loro vite ma in realtà più vicino di quanto immaginiamo, sono stati Anna Lisa Tiberio, coordinatrice dello sportello dell'ufficio scolastico provinciale di Verona, Gaetano Saffioti, imprenditore e testimone di giustizia, Adriana Musella, presidente di “Riferimenti”, Michele Prestipino, procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Renato Cortese, capo della squadra mobile di Reggio Calabria, Arcangelo Badolati, caposervizio della “Gazzetta del Sud” e Maria Gallo, referente per il Veneto di “Riferimenti”.
Scacco al re. Gli interventi sono stati preceduti dalla proiezione del film documentario "Scacco al re – La cattura di Provenzano" che ripercorre le fasi precedenti la cattura del più importante boss di Cosa nostra dopo una latitanza record durata più di quarant'anni. I filmati mostrano le intercettazioni delle forze dell'ordine che hanno condotto, tassello dopo tassello, al casolare dove l'11 aprile 2006 è stato arrestato Provenzano. "Sono stati i minuti più lunghi della mia vita – confessa un poliziotto coinvolto nell'operazione – durante le 48 ore precedenti la cattura mi sono chiuso in me stesso e non ho più parlato con nessuno. L'adrenalina cominciava a salire sempre più e il cuore mi batteva velocissimo". "La commozione di quel momento è inspiegabile – ammette Renato Cortese nel documentario – è stata una gioia immensa".
Non illudiamoci che la mafia non ci riguardi. La presidente di "Riferimenti" Adriana Musella ha smentito con forza la credenza che la criminalità organizzata sia un fenomeno estraneo al nord Italia. Direttamente colpita dalla crudeltà mafiosa che le ha portato via il padre nel 1982, Musella non si è mai persa d'animo e ha sempre combattuto in prima fila la lotta contro la mafia. "Si pensa che la mafia sia solo nel sud ma invece non è così. La criminalità organizzata ha la testa al sud ma gli affari li conclude al nord – ha spiegato Musella, che poi ha esortato i ragazzi a impegnarsi, per quanto sia loro possibile, nel promuovere sempre e in ogni momento la legalità: "Chi accetta i soldi della mafia è colpevole tanto quanto chi commette un omicidio. Voi dovete sempre rifiutare questi soldi. Sono sicura che in questo modo ognuno di voi può farcela a costruire un mondo diverso". A sostenere le parole della presidente è stato l'intervento di Badolati che ha invitato i presenti alla vigilanza e al coraggio, "difendendo la libertà di lavorare e quella di sognare".
Non esiste nessun mito dell'imprendibilità. A narrare il difficile percorso che, dopo otto lunghissimi anni, ha portato alla cattura di Bernardo Provenzano è stato Renato Cortese, dirigente della squadra mobile di Reggio Calabria, che nel suo curriculum vanta nomi come Giuseppe De Stefano, Rocco Gallico, Giovanni Strangio. "Era un fantasma. Avevamo solo una foto del '63 invecchiata con le moderne tecnologie. Tutti lo davano per morto e di lui non si sapeva nulla". Questo è il mito dell'imprendibilità che per quarantatré anni ha accompagnato il capo di tutti i capi di Cosa nostra. "La cattura ha dimostrato che non esiste nessun mito dell'imprendibilità. La mafia può essere vinta e ogni cittadino deve impegnarsi per sconfiggere la criminalità organizzata". La mafia non è fatta solo da chi commette omicidi o sequestri di persona. C'è un altro male che rischia di incrementare la malavita ed è il silenzio di chi subisce senza denunciare.
La testimonianza di chi ha avuto il coraggio di denunciare. Fortunatamente non tutti vivono nel silenzio. Ci sono persone che hanno deciso di non vivere nell'omertà e di riappropriarsi di uno dei diritti che la nostra Costituzione definisce "inviolabile", la libertà. È il caso di Gaetano Saffioti, imprenditore calabrese, testimone di giustizia in seguito alla denuncia fatta alla 'ndrangheta e alla consegna delle registrazioni alla procura che hanno portato all'arresto di quarantotto mafiosi. "Adesso vivo sotto scorta, non posso più lavorare in Italia, ho condannato i miei figli a vivere una vita blindata, priva delle libertà di cui godono i loro coetanei. Ma nemmeno prima ero libero, credevo di esserlo, ma non lo ero". Queste le parole di Saffioti, un uomo esemplare che ha sacrificato la sua attività e la sua passione per compiere quello che lui ritiene essere il dovere di ogni cittadino. "Ero stanco di vedere la mia terra sottomessa alla malavita, ragazzi costretti a migrare per fuggire da questa piaga e soprattutto non volevo più essere l'humus della 'ndrangheta. Così ho denunciato, rinunciando alla libertà ma riacquistandola allo stesso tempo perché non c'è schiavo più grande di colui che crede di essere libero senza esserlo. E io oggi lo sono".