Perché alcune persone sono depresse e altre no? Chi è più a rischio? La lettura magistrale di David Goldberg, professore dell’Insistute of psychiatry di Londra, si è concentrata proprio sugli aspetti genetici e ambientali che possono portare allo sviluppo di depressioni in età adulta. Alla relazione dello psichiatra inglese, svoltasi nei giorni scorsi al policlinico di Borgo Roma e introdotta da Michele Tansella, preside della facoltà di Medicina e Chirurgia, e Carlo Alberto Marzi, ordinario di Fisiologia e Psicologia, sono seguiti gli interventi di Pier Franco Pignatti, ordinario di Genetica medica, e di Mirella Ruggieri, ordinario di Psichiatria.
Geni e vulnerabilità. Alcune persone sono più vulnerabili di altre a sviluppare disturbi mentali. “Dopo una grave perdita, il 20% della popolazione tenderà a sviluppare almeno un episodio depressivo, ma l’80% no. Come mai?” David Goldberg ha introdotto così la sua lezione dal titolo “L’interazione tra fattori biologici e psicologici nel determinare la vulnerabilità a soffrire di disturbi mentali”. I geni controllano gli ormoni, la risposta immunitaria e i neurotrasmettitori. Controllano, assieme ai fattori ambientali, anche la tendenza a sviluppare una resistenza generale allo stress. L’interazione tra geni e ambiente controlla, nella maggior parte dei casi, le variazioni della personalità e determina l’esposizione a stili di vita stressanti. Le esperienze negative, che si verificano subito dopo la nascita, possono incrementare la vulnerabilità delle persone così come esperienze positive la possono ridurre. “I geni incidono per il 40% sullo sviluppo dei disturbi depressivi. Il restante 60% dipende dall’ambiente “unico” ovvero quello personale – ha illustrato Goldberg -. I geni sono importanti nel determinare il substrato iniziale su cui si basa la resistenza/vulnerabilità del soggetto.”
L’attaccamento migliora le cose? Tra i fattori che maggiormente incidono sui disturbi mentali troviamo la deprivazione precoce delle figure genitoriali, cioè i bambini che hanno vissuto negli orfanotrofi, la depressione materna e l’abuso sessuale o fisico. Le ricerche hanno però dimostrato che le cure materne sono in grado di far diminuire la vulnerabilità dei soggetti rispetto allo sviluppo di queste malattie. “Una “buona madre” trasmetterà al suo bambino, attraverso un attaccamento sicuro, una maggiore competenza sociale, le capacità di provare empatia e un controllo efficace delle risposte nei conflitti interpersonali – ha spiegato lo studioso inglese -. La “cattiva madre” svilupperà nel bambino un attaccamento insicuro che lo porterà a non cercare contatti stretti con i genitori, e che crescerà con un sentimento di indifferenza o rabbia. Ciò lo porterà ad avere un comportamento antisociale più marcato e a manifestare emozioni negative. Se l’attaccamento insicuro viene seguito da esperienze negative, il bambino svilupperà tratti ansiosi e disturbi comportamentali nell’adolescenza.”