In centinaia sono accorsi in università in occasione della giornata di studio in onore di Dario Fo e Franca Rame. L’aula magna del polo Zanotto, gremita di studenti, docenti e appassionati del grande artista, ha accolto i due attori con uno scroscio di applausi di oltre tre minuti. L’entrata in scena di Fo e della moglie è stata preceduta dalle relazioni di alcuni docenti che, per l’occasione, sono intervenuti omaggiando il premio Nobel per la letteratura e la sua variegata carriera artistica. La giornata, organizzata da Rosanna Brusegan, docente di Filologia romanza dell’ateneo, è stata introdotta dai saluti di Bettina Campedelli, prorettore dell’università e da Guglielmo Bottari, direttore del dipartimento di Filologia, letteratura e linguistica dell’ateneo scaligero.
Negli spazi della biblioteca Frinzi è allestita sino a martedì 31 maggio un'esposizione bibliografica dell'opera di Dario Fo.
Due sezioni dedicate ai due poli linguistici del teatro di Fo. “Il titolo della giornata è stato scelto da Dario Fo. L’obiettivo – ha spiegato Brusegan – è quello di dare agli studenti e a tutto il pubblico la possibilità di conoscere e approfondire l’opera di due tra i più importanti protagonisti della cultura teatrale italiana e internazionale”. La prima parte dell’incontro, presieduta da Pietro Trifone dell’Università di Roma “Tor Vergata”, ha affrontato il tema del medioevo di Fo e della componente linguistica di questo periodo. Sono intervenuti Ivano Paccagnella dell’Università di Padova, con una relazione dal titolo “Ruzante à la manière de Dario Fo” e Luigi Matt, dell’Università di Sassari, che ha affrontato il tema del teatro delle lingue in “Lu santo jullàre Francesco”. La seconda carellata di interventi è stata moderata da Ivano Paccagnella e si è concentrata sulla componente italiana del teatro di Fo. A introdurre il dibattito è stato Claudio Giovanardi dell’Università di Roma Tre, seguito da Nicola Pasqualicchio, ordinario di Storia del Teatro e dello spettacolo dell’ateneo veronese, che ha dedicato alcune parole al primo teatro di Dario Fo e Franca Rame. A concludere gli interventi, prima dell’arrivo degli artisti, sono stati Monica Longobardi dell’Università di Ferrara, e Pietro Trifone.
Il debito di Fo con Ruzzante. Nel discorso di accettazione del Nobel, il 7 dicembre 1997, Fo ha esordito con un elogio a colui che, insieme a Molière, considera il suo più grande maestro, Angelo Beolco detto Ruzzante. “Ruzzante è per Dario Fo uno dei maggiori ispiratori e al tempo stesso un importante punto di riferimento” ha spiegato Paccagnella. Il plurilinguismo di Fo trae origine dal teatro del Beolco, con il quale ha un debito di vecchia ascendenza. “Con Mistero buffo Fo crea una lingua teatrale interdialettale – ha precisato il docente – che trova ascendenza a partire dai monologhi ruzzantiani. È fatta da elementi vivi del lombardo occidentale e di altri dialetti di area padana, con tratti arcaici e altri di uso contemporaneo. Una specie di iperdialetto norditaliano”. In realtà è una lingua personalissima che vive nella mimica dell’attore e nella tonalità della sua voce. L’incontro di Fo con Ruzzante non come ispiratore ma come autore avviene nello spettacolo messo in scena l'8 luglio 1993 al “Festival dei due mondi” di Spoleto. “Fo sostiene l'incompresibilità linguistica odierna del pavano ruzzantiano – ha concluso Paccagnella – e ciò è comprensibile se si considera che questo idioma è il dialetto contadino parlato nel ‘500 nelle campagne dell'entroterra padovano. Il vero problema del Ruzzante di Fo è la lingua: il pavano di Ruzzante è molto difficile da capire e proprio per questo il pavano di Fo è una lingua artificiosa e teatrale”.
Esiste un Fo linguisticamente normale. A fianco del Fo del teatro medievale, caratterizzato da un linguaggio dialettofono e arcaico, c’è anche un Fo linguisticamente normale, in cui la componente italiana è prevalente. A confermarlo sono stati Giovanardi e Pasqualicchio. Il docente dell’Università di Roma Tre ha dedicato il suo intervento alla raccolta di testi teatrali di Fo pubblicata da Garzanti nel 1962 e costituita da una serie di farse in cui comicità e vena surreale trovano il giusto connubio in situazioni inverosimili e che tuttavia non vanno ad intaccare il piano della lingua. Tra i titoli spiccano “Non tutti i ladri vengono per nuocere”, “Gli imbianchini non hanno ricordi”, “I tre bravi” e altre ancora. “In questa fase Fo lavora a un teatro in cui le trovate e le situazioni non hanno un contraltare nella lingua dei personaggi. Qui abbiamo un Fo lontano dagli eccessi e dai pasticci che lo hanno reso famoso. L'italiano delle farse in questione è infatti l'italiano colloquiale, una sorta di parlato teatrale dell'uso” ha spiegato il docente. Significativi, a livello sintattico e lessicale, sono i costrutti che arieggiano certe semplificazioni tipiche della comunicazione parlata, le false partenze e le frasi interrotte, la posposizione del soggetto dopo il verbo e la dislocazione a sinistra del complemento oggetto o del complemento indiretto. Troviamo inoltre esempi di epanalessi o frasi foderate e l’uso di sintassi scritta come i costrutti ipotetici. Non mancano i ricorsi al “ci” attualizzante e all’uso dell’articolo davanti ai nomi propri. Disseminati nei testi sono i giochi di parole e le grafie onomatopeiche. Pochissimi invece i forestierismi e gli esotismi, così come gli insulti e le imprecazioni. La parola è poi passata a Pasqualicchio che si è concentrato sul periodo tra il 1959 e 1961, fase in cui Fo ha prodotto con regolarità annuale tre commedie: “Gli arcangeli non giocano a flipper”, “Aveva due pistole con gli occhi bianchi e neri” e “Chi ruba un piede è fortunato in amore”. “Lo considero il primo teatro perchè è il primo teatro di Fo insieme a Franca Rame. Nel 1959 parte infatti l'impresa della compagnia Fo-Rame, con lo spettacolo Gli arcangeli non giocano a flipper” ha spigato il docente. Il modello drammaturgico di queste commedie è il vaudeville francese, con l’ingesso di temi e intrecci tipici del teatro borghese, meno popolari delle farse precedenti. Qui l'intento primario di Fo è quello di sprimentarsi come drammaturgo, di elaborare nuove forme di comicità teatrale. “Questi anni furono un vero laboratorio drammaturgico per Fo che sperimentò con grande libertà e ricchezza inventiva la commistione di generi, linguaggi e tecniche, che segneranno l'essenza plurilinguistica del suo teatro. Sono “piece mal fait” costruite a regola d'arte: il congegno teatrale c'è e spesso è realizzato con perfezione matematica ma trasgredisce in modo flagrante la costruzione consequenziale delle piece bien fait. Le commedie di Fo arrivano sulle scene come fuochi d'artifico, con potere liberatorio e questo il pubblico lo avverte. Avverte – ha concluso Pasqualicchio – che c'è al lavoro un attore che si diverte a recitate e a scrivere, magari in modo disordinato ma con tante idee brillanti”.
In Frinzi un'esposizione bibliografica dell'opera di Dario Fo. Lo scorso 16 maggio è stata inaugurata in Biblioteca Frinzi un’esposizione bibliografica contenuta, ma assai significativa dell’opera del Premio Nobel. Le bacheche allestite sono 4: le prime opere pubblicate a Verona da Giorgio Bertani, l’opera letteraria e teatrale di e su Dario Fo, Fo illustratore, Fo scenografo.
Orari di esposizione
16-31 maggio 2011
dal lunedì alla domenica ore 8,15 – 23,45