Andrea Talacchi, professore di neurochirurgia dell’ateneo scaligero, è editor di una pubblicazione speciale su “Journal of Neuro Oncology”. La rivista scientifica ha infatti dedicato uno spazio ai risultati ottenuti dallo studio del docente veronese sull’applicazione di indagini neuropsicologiche nei pazienti con tumore cerebrale. Mentre prima venivano valutate solo le funzionalità fisiologiche del paziente quali motilità e sensibilità, ora si inizia a dare importanza all’aspetto cognitivo-affettivo. A chiarire la problematica e a sottolineare l’importante risultato internazionale è lo stesso dottor Talacchi.
Dottor Talacchi, cosa rappresenta per lei la pubblicazione dei suoi studi sulla rivista scientifica “Journal of Neuro Oncology”?
E’ un bel riconoscimento, il coronamento di un percorso e di un lavoro di equipe (in collaborazione con Carlo Alberto Marzi, Leonardo Chelazzi e con la dottoressa Savazzi di Fisiologia e con il professor Miceli dell’università di Trento), nato dal desiderio di conoscere meglio l’effetto del tumore sul funzionamento cerebrale e di dimostrare che l’attenzione rivolta al paziente non è inferiore a quella che rivolgiamo verso le tecniche che ci permettono di rimuovere il tumore, soprattutto quando si sperimentano approcci chirurgici innovativi. Rappresenta anche l’inizio di un nuovo progetto europeo che stiamo preparando sulla revisione dei criteri di giudizio riguardo l’esito di un trattamento, sia esso chirurgico, radioterapico o chemio terapico. Un progetto che potrebbe avere un grosso impatto nella comunità scientifica e clinica, e che segna l’indirizzo verso una medicina personalizzata.
Quale ruolo gioca l’aspetto cognitivo-affettivo nella riabilitazione dei pazienti operati?
E’ troppo presto per dirlo. Dobbiamo prima rifinire i nostri strumenti investigativi e applicare i test neuropsicologici con la stessa solerzia con la quale oggi impieghiamo la risonanza magnetica, solo dopo saremo in condizione di rispondere a questa domanda. Per ora ci limitiamo a vedere il cervello non il suo funzionamento.
Quale ruolo può giocare il neuropsicologo nel team di medici?
Molto importante. Se si considera che il nostro primo articolo pubblicato nel 2010 è stato il quarto in tutta la letteratura che tiene conto della valutazione neuropsicologica dall’inizio della storia clinica del paziente e di quanto questo sia importante per confrontare valutazioni successive, dopo i trattamenti e lungo il decorso della malattia, ci si rende conto che il problema “strutturale” è fondamentale: non si possono avere informazioni finché manca questa figura nei team neuro-oncologici. Questo vale pure per il nostro reparto, purtroppo, molto di questo lavoro è stato svolto da una sola neuropsicologa … precaria da sette anni.
Viste le conseguenze cognitive, come si dovrebbe intervenire per dare sostegno ai pazienti “sopravvissuti”?
Sopravvissuti è troppo. Sono pazienti che camminano, escono e hanno una vita di relazione nel 90% dei casi … anche se non sono più quelli di prima, ma solo un occhio molto esperto se ne può accorgere, è questo il punto. Per “prima” intendiamo prima della malattia, perché è il tumore a dare i maggiori disturbi cognitivi, non l’intervento se questo è ben condotto.