Dalle neuroscienze e la genetica le scoperte e le strumentazioni che mettono in crisi la concezione tradizionale di responsabilità penale e inducono a una rinnovata riflessione sull’uomo nel diritto.
Il delitto del cervello.L’evento di Infinitamente dedicato all’influenza delle neuroscienze sul diritto ha dato la parola a Luca Sammicheli e Andrea Lavazza, autori del libro "Il delitto del cervello", a moderare l’incontro i docenti Stefano Troiano e Lorenzo Picotti, della Facoltà di Giurisprudenza dell’ateneo di Verona. L’opera suscita l’interrogativo sull’imputabilità dei reati in ambito penale, “nei casi in cui il reo sia affetto da disturbo psichico o della personalità temporaneo e non ascrivibile ai casi d’infermità mentale totale, certificabile e cronica, previsti dal Codice Rocco ancora in vigore nel nostro ordinamento giuridico”, così ha introdotto all’argomento Picotti da esperto di diritto penale.
In Lombroso un precursore. Il funzionamento del cervello, premette Lavazza, è sempre stato di grande interesse, “già Lombroso, giurista e criminologo della seconda metà dell’800, sotto la spinta della mentalità positivistica, sosteneva la forte incidenza dei caratteri somatici e ambientali sul comportamento criminale”, così oggi si può pensare a una certa ripresa di queste posizioni, ora consolidate dall’innegabile contributo delle nuove scienze.
La svolta della Corte di Cassazione. Una svolta si è avuta nella storia del diritto italiano con la sentenza numero 9163 della Cassazione del 2005: in essa il primo caso di deroga al Codice Rocco. La sentenza introduceva un’interpretazione innovativa al Codice penale perché ha ammesso la possibilità di una non ascrivibilità della colpa per infermità psichica parziale. Sono seguiti in Italia altri due casi figli di questa svolta in cui è stata presa in considerazione l’incertezza sull’imputabilità del reato in relazione allo stato di disturbo mentale transitorio dell’imputato.
Libertà e responsabilità. A emergere è una nuova visione dell’uomo che, anche nel diritto, prende in considerazione gli apporti delle neuroscienze, della genetica e delle discipline psicosociali. Per Sammicheli e Lavazza è spontaneo chiedersi se un uomo sia colpevole dal punto di vista morale quando si può accertare che nel momento in cui è stato compiuto il reato non era capace di autocontrollo o se si tratta di una persona che per motivi genetici, fisiologici o per l’educazione ricevuta e i traumi psicologici subiti in età infantile si trovi deprivata della possibilità di maturare un equilibrio mentale. In questi casi “non può esserci una scelta di delinquere perché non c’è una libertà autentica dell’individuo, di conseguenza, non una responsabilità morale sull’accaduto”. Allora, si chiedono i due giuristi, “non è più equo rifondare il concetto di pena affinché dal punire e affliggere un individuo già svantaggiato non si passi al controllarne la pericolosità sociale?”