Qual è il valore di una notizia? Perché l’inglese è la lingua dominante nel giornalismo? Lo hanno illustrato Roberta Facchinetti e Paolo Dal Ben, docenti dell’ateneo, a giornalisti e comunicatori nel corso dell’incontro “Quando la notizia parla inglese” in programma per Infinitamente.
Devianza e rilevanza sociale. Ci sono dei criteri che rendono un fatto o un evento “notiziabile”, ovvero degno di diventare un articolo per la carta stampata, la tv, la radio o anche il web: sono la devianza e la rilevanza sociale. Paolo Dal Ben, docente di Teorie e tecniche del giornalismo multimediale all’università di Verona, ha illustrato come, secondo i due ricercatori statunitensi Shoemaker e Cohen, siano proprio questi due elementi a decretare se una notizia finirà o meno in prima pagina. Ci sono anche altri attributi, come sappiamo, ad influire sull’interesse verso un fatto ma questi due, a prescindere dal luogo e dal tempo in cui l’evento in questione ha luogo, ne decretano la pubblicazione.
La convergenza. Al giorno d’oggi è diventato difficile distinguere tra giornalisti veri e propri e informatori occasionali in quanto tutti, con l’avvento della tecnologia, siamo diventati portatori di notizie. “Il pubblico ormai è parte integrante del nostro lavoro – ha detto Dal Ben – e la convergenza ci obbliga a fare informazione giornalistica essendo sempre più consapevoli che il pubblico può intervenire nel processo”. Tramite i blog e i social network tutti possono diventare portatori di notizie. Pensiamo, ad esempio, a Twitter. “Siamo venuti a conoscenza di quanto accadeva nella cosiddetta “primavera araba” proprio grazie ai tweet delle persone che la stavano vivendo”, ha detto Roberta Facchinetti, docente di Inglese avanzato per il giornalismo nell’ateneo scaligero.
La notizia parla inglese. “Io devo chiarire, però – ha continuato Facchinetti -, che ormai non si può più pensare di fare informazione se non si parla inglese”. Questo proprio perché, con l’avvento di internet e la diffusione sempre più rapida di notizie da un capo all’altro del globo, non si può proprio più pensare di scrivere solo in italiano e bisogna conoscere, nel contempo, le parole chiave per far girare una notizia. È emerso in modo preponderante un termine su tutti: hashtag. Èuna sorta di parola chiave che si usa su twitter, il più veloce e utile tra i social network per chi vuol fare informazione. “Grazie all’hashtag io posso leggere tutte le frasi che riguardano uno stesso argomento. Inoltre usarlo è semplicissimo: è sufficiente porre il “cancelletto” davanti alla parola chiave ed è fatta”, ha spiegato Facchinetti. Si parla in questo caso di citizen journalism: chiunque può fare informazione non solo con twitter ma scrivendo sul proprio blog o anche su facebook. I confini tra giornalismo professionistico e giornalismo occasionale sono dunque sempre più labili.
L’inganno delle notizie. “È difficile ma sempre più importante, in questo quadro, saper riconoscere gli inganni della comunicazione”, ha continuato la docente. Riferendosi a questo tipo d’inganni, insieme a Dal Ben, ha messo in evidenza alcuni trucchi usati dalle maggiori testate giornalistiche statunitensi per dare una notizia scomoda senza allarmare i lettori. Sono emersi dunque termini come friendly fire al posto di killing nel caso dell’omicidio di Nicola Calipari durante la liberazione della giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena, nel 2005 o ancora enhanced interrogation techniques al posto di torture per i prigionieri di guerra. E questi sono solo gli esempi più lampanti di quell’inganno della comunicazione che i giornali operano ogni giorno e che solo un occhio molto esperto è in grado di scovare. “In un’epoca come la nostra – ha chiarito Dal Ben – in cui l’informazione è alla portata di tutti, bisogna essere sempre più lucidi e attenti per riconoscere l’informazione di qualità dalla cosiddetta informazione spazzatura”.