Vecchio padre Tempo munito di clessidra, che divora uomini e cose o giovane alato che sfugge a chiunque lo voglia rincorrere? Come dobbiamo figurarci il tempo? Guido Avezzù, preside della facoltà di Lettere e docente di Letteratura greca all’università di Verona, durante l’evento "Kairòs: il volto giovane del tempo", tenutosi all’Accademia di Agricoltura, scienze e lettere, ha trattato la tematica della raffigurazione del tempo nell’antica Grecia e ha introdotto un elemento nuovo del kairòs, che è momento opportuno ma anche il rischio insito in ogni momento decisivo.
Che faccia ha il tempo? "Nel mondo classico – ha spiegato Avezzù – vi sono due principali tradizioni iconografiche del tempo che rispondono all’esigenza di rappresentarne un aspetto piuttosto che un altro. Il kronos della teogonia esiodea – così denominata la mitologia narrata da Esiodo – era personificato in un vecchio padre Tempo. Munito di clessidra, tutt’altro che bonario, divorava uomini e perfino statue, nella sua incessante ciclicità; è la raffigurazione del tempo eterno che corrompe la materia. Vi è poi l’icona del tempo giovane, il kairòs, ragazzo alato dalla nuca rasata che passa e sfugge per sempre tenendo in equilibrio sulla lama di un rasoio una bilancia. Solo chi è accorto lo può afferrare, chi non ha questa prontezza si lascia sfuggire l’occasione per sempre. La prima immagine di kairòs alato ci proviene da un bassorilievo posto sull’entrata di uno stadio olimpico a Traù nell’attuale Croazia, ma non è l’unica, anche in epoche successive il kairòs sarebbe stato dipinto con quelle caratteristiche; le ali a simboleggiare la fuggevolezza, la nuca rasata, l’impossibilità di acciuffarlo una volta che sia passato oltre e la bilancia in mano che indica la valutazione delle opportunità".
Il rischio del momento propizio. "Il kairòs, attimo fuggente che simboleggia l’opportunità unica nella vita, irripetibile e dunque da cogliere al volo, è anche momento critico in cui viene messa in gioco la capacità di decidere in fretta, valutando pro e contro. È un attimo improvviso che rappresenta una possibilità di cambiamento in positivo o in negativo e perciò crea una tensione, la paura del fallimento – ha continuato Avezzù – Nell’antica Grecia il kairòs era il punto critico che decideva della vittoria o sconfitta nell’agone sportivo, durante le battaglie era il momento propizio per sferrare l’attacco e per prendere parte attiva nella vita pubblica, nell’agorà, la piazza dove venivano prese le decisioni politiche secondo i principi della democrazia diretta. Il kairòs era il momento fondamentale in cui si valutava se prendere la parola oppure no, se esporsi al giudizio degli altri per esprimere la propria opinione e rischiare l’ostracismo, quindi l’esilio o peggio ritorsioni fisiche, o rimanere in silenzio e farsi sfuggire anche l’occasione di un eventuale successo. Kairòs comporta dunque grande tensione per la consapevolezza del rischio cui si va incontro.