“Ognuno di noi può fare qualcosa per promuovere e tutelare i diritti dell’infanzia”. Con queste parole il presidente del comitato Unicef veronese Adele Bertoldi ha aperto il IX corso multimediale di educazione allo sviluppo “Vogliamo arrivare a zero”. Un progetto di educazione civile nato in collaborazione con i dipartimenti di Scienze economiche, Filosofia, Pedagogia e Psicologia dell’ateneo per avvicinare e sensibilizzare i giovani alla convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. “La conoscenza della convenzione dovrebbe essere un obbligo di ogni individuo a prescindere da tutto”, ha affermato il presidente. Dopo i successivi saluti di Federico Perali, direttore del dipartimento di Scienze economiche, è intervenuto Paolo De Stefani, docente di Diritto internazionale all’università di Padova. Il suo intervento ha trattato gli ultimi articoli della convenzione, “quelli che di solito non si leggono – ha sottolineato De Stefani – che stabiliscono la predisposizione di un sistema di garanzia e di verifica per la convenzione”.
Il comitato sui diritti dell’infanzia. La convenzione enuncia per la prima volta, in forma coerente, i diritti fondamentali che devono essere riconosciuti e garantiti ai bambini di tutto il mondo. Negli articoli 42, 43, 44 istituisce persino uno dei nove comitati internazionali di monitoraggio sull’operato dei singoli Stati, il comitato sui diritti dell’infanzia, composto da diciotto esperti di alta moralità. Questo ha tre compiti fondamentali: vagliare a distanza di 5 anni i rapporti redatti dagli Stati sull’attuazione della convenzione emettendo delle “pagelle”, documenti di valutazione conclusiva sul lavoro dello Stato esaminato; elaborare i “general comments”, un’interpretazione dei singoli articoli ed esaminare casi singoli che non trovano adeguata trattazione nel sistema giudiziario del proprio Paese. La stretta vigilanza del comitato sugli Stati però non vuole essere solo un controllo e una verifica. Il suo primo obiettivo infatti è creare un dialogo costruttivo tra esperti e governi per migliorare la qualità della vita dei bambini di tutto il mondo.
Le critiche all’Italia. La convenzione, approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, entra in vigore il 2 settembre 1990 e l’Italia la ratifica il 27 maggio 1991 con la legge n. 176. Da allora il nostro Paese ha inviato solo quattro rapporti al comitato: il primo nel 1993 e discusso nel 1995, il secondo nel 2000 e discusso nel 2003, mentre gli ultimi due sono stati discussi insieme nel settembre 2011. Le critiche mosse all’Italia purtroppo non sono poche. Tra tutte primeggia l’atteggiamento di difesa dell’Italia: la nostra delegazione governativa non riesce a vedere il lavoro del comitato come un dialogo costruttivo, interpreta questo momento di scambio e di crescita reciproca solo come un controllo, una verifica, una condanna. Un’altra critica riguarda invece l’opacità dell’apparato finanziario e amministrativo italiano: non è chiaro quanto lo Stato investa per l’attuazione dei diritti dell’Infanzia.
Il gruppo Crc. Il comitato riceve un valido contributo di monitoraggio anche da gruppi non governativi.In Italia nel dicembre 2000 si costituisce il gruppo di lavoro per la convenzione sui diritti dell’infanzia che produce rapporti annuali sull’attuazione della convenzione, supplementari a quelli del governo italiano, redatti dal punto di vista della società civile. Finalità del gruppo sono promuovere la conoscenza della convenzione, le politiche e le iniziative a sostegno dei diritti dell’infanzia ma soprattutto ottenere una maggiore ed effettiva applicazione in Italia della convenzione. Questi rapporti diretti con il comitato da parte di organizzazioni sociali sono un buon proposito da perseguire e da rafforzare perché è grazie ad essi che si aggira la sordità dello Stato. Ognuno di noi deve acquisire un dovere in più. Ognuno di noi può migliorare la vita di tutti i bambini.