“Kval Masì è il nome del bambino schiavo ucciso in Pakistan negli anni ’90, da allora si parla di responsabilità sociale d’impresa”. Chiara Curto, di Unicef Italia, apre il terzo incontro del seminario “Vogliamo arrivare a zero”, sul tema dell’impatto sociale delle imprese, ricordando questo fatto drammatico. A seguire, nel corso dell’evento, tenutosi al dipartimento di Scienze economiche dell’università di Verona di via Del fante, Giuseppe Manni, imprenditore veronese, ha testimoniato la sua esperienza di dono, parlando da titolare di azienda ma soprattutto da uomo. A intervistare i due ospiti, Francesco Perali, direttore del dipartimento di Scienze economiche dell’università di Verona.
La responsabilità sociale d’impresa. “Il tema della responsabilità sociale d’impresa è al centro dall’attenzione da quando le aziende dei Paesi sviluppati hanno cominciato, nei primi anni ‘90, a delocalizzare le loro produzioni nei Paesi del terzo mondo. L’operato del Rappresentante speciale per i diritti umani, le compagnie internazionali e le aziende, nominato dall’Onu nel 2005, ha portato a istituire nel 2008 la Prar (protect respect and remedy) framework, ossia una direttiva di riferimento per i governi e le aziende, che si basa su tre pilastri, il dovere degli Stati di far rispettare i diritti fondamentali dell’uomo, la responsabilità delle imprese nell’osservare tali diritti e infine i rimedi, giudiziali e non, alle violazioni dei diritti umani”.
L’Unicef e le imprese. L’Unicef è costantemente impegnata sul fronte della lotta alle piaghe della mortalità infantile e del lavoro minorile nel terzo mondo,anche attraverso la collaborazione con le imprese. “Per entrare in partnership con l’Unicef-puntualizza Curto- l’azienda deve rispettare alcuni vincoli tra cui il non coinvolgimento nell’industria degli armamenti, il non impiego di manodopera minorile, il non coinvolgimento in attività criminose o in reati ambientali, l’estraneità al nucleare, inoltre non deve produrre latte in polvere”.
L’impegno sociale per le aziende si traduce in un miglioramento della reputazione, nel rafforzamento del marchio, dell’affidabilità agli occhi degli investitori e della motivazione dei propri lavoratori. Sono sempre di più gli imprenditori che l’hanno capito e che investono in progetti a lungo termine in cui il “fare impresa”, è direttamente collegato alla promozione dei diritti umani, e allo sviluppo dei paesi che sono sede di produzione aziendale.
Un buon esempio veronese, Giuseppe Manni. Un esempio di generosità imprenditoriale è il coinvolgimento ormai consolidato del Gruppo Manni nel progetto etiope dell’ospedale di Dubbo in Etiopia. “La nostra esperienza nasce dall’educazione alla condivisione che io e mio fratello abbiamo ricevuto da nostra madre”. Così Giuseppe Manni parla di un’abitudine al dono che nel suo caso precede ogni logica imprenditoriale. Sull’esempio della madre, che ha contribuito alla realizzazione dell’ospedale cittadino, i fratelli Manni continuano a finanziare il progetto ma promuovono e sostengono anche la costruzione di una scuola per i bambini più svantaggiati di quella località. Per Manni il dono è tale solo nel momento in cui crea relazione, nasce allora un rapporto fruttuoso che non consiste nel solo dare ma soprattutto in un inaspettato ricevere.
“Come reagisce il mondo imprenditoriale di fronte a un esempio virtuoso come quello di Manni?” L’imprenditore veronese risponde che s’innesca un “sano contagio” per cui la sensibilità verso certi temi si propaga anche nelle altre realtà aziendali.