Le pagine web in italiano sono passate dall’1,5% nel 1998 al 3,05% nel 2005. Negli ultimi cinque anni però il numero degli internauti italiani è rimasto stabile, in tendenza opposta a quelli dei Paesi in via di sviluppo. L’italiano, come la maggioranza delle lingue europee, rischia di scomparire dal web, rischiando di essere sotto-rappresentato soprattutto se confrontato con l’inglese. A dirlo è il rapporto “La lingua italiana nell’era digitale” dell’Istituto di linguistica computazionale del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa (Ilc-Cnr), parte della ricerca Meta-Net cui hanno lavorato più di 200 esperti. Ne abbiamo parlato con Roberta Facchinetti, direttore del dipartimento di Lingue e letterature straniere dell’ateneo scaligero.
La presenza delle lingue europee in rete. 21 lingue su 30 analizzate godono di un supporto digitale ‘debole o assente’ in almeno una delle aree tecnologiche prese in esame, come ad esempio quelle relative ai correttori ortografici e grammaticali, agli assistenti personali interattivi su smartphones, ai sistemi di traduzione automatica e ai motori di ricerca. In particolare l’islandese, il lituano, il lettone e il maltese si collocano al livello più basso in tutte gli ambiti presi in considerazione. Altre lingue ad alto rischio sono il basco, il bulgaro, il catalano, il greco, l’ungherese e il polacco, che compaiono tra quelle con supporto digitale ‘frammentario’. All’estremo opposto si trova l’inglese, seguito da olandese, francese, tedesco, italiano e spagnolo, presenti in classifica con supporto digitale ‘modesto’. Nessuna lingua europea rientra nella categoria di supporto digitale ‘eccellente’.
Qual è il suo punto di vista sull’argomento? “Il rapporto dell’Ilc-Cnr fotografa una situazione che non deve porci troppo in allarme. I supporti digitali e la rete in generale possono favorire o sfavorire la visibilità di una lingua, ma non credo ne possano condizionare la sopravvivenza, almeno per ora. La stessa ricerca del Cnr rileva che il 51,7% degli Italiani naviga in rete, con una crescita del 127,5% tra il 2000 e il 2010. E nel corso degli anni ci confronteremo con un numero sempre crescente di internauti, quindi con un numero sempre maggiore di parlanti idiomi diversi. È una situazione in divenire, che va monitorata senza eccessivi allarmismi”.
Ci sono collegamenti tra quanto afferma la ricerca del Cnr e alcuni assunti contenuti nel suo ultimo lavoro “News as changing texts” o in lavori e ricerche precedenti? “I miei studi sulla lingua inglese mi portano quotidianamente a confrontarmi con altre lingue, in particolare il francese, il tedesco e lo spagnolo, soprattutto per osservare l’impatto dei nuovi media sul mondo giornalistico nei diversi substrati culturali europei. È indubbio che l’inglese sia la lingua dei supporti digitali per eccellenza, ma proprio perché è utilizzata dalla rete si sta a sua volta ‘glocalizzando’, sta cioè sfumando specificità proprie della sua ‘terra d’origine’ ed assorbendo peculiarità di altre lingue e culture. È un fenomeno affascinante che il Web mostra in tutto il suo magmatico divenire”.
Qual è il punto di forza dell’inglese come lingua per il web? “La sua straordinaria capacità di adattamento, affinata nei secoli. Le numerose ‘invasioni’ linguistiche subite dall’inglese fin dai suoi esordi, 1500 anni fa, l’hanno spinta a progressive semplificazioni strutturali ed arricchimenti lessicali che le hanno permesso di sopravvivere e rivitalizzarsi anche in momenti storici nei quali il suo destino sembrava segnato. È innegabile che il contesto socio-economico-politico la aiuta, ma è anche vero che la usa elasticità, pur nel rispetto dell’ossatura centrale, le permette di essere ‘scelta’ implicitamente come lingua veicolare anche del web”.
Dal suo punto di vista è plausibile uno scenario in cui la sola lingua del web sarà l’inglese? “Plausibile, ma non inevitabile. Anzi. La lingua è delle persone, le persone parlano lingue diverse e cambiano; nel mondo dell’informazione globale sempre più persone di lingue e culture differenti avranno inevitabilmente accesso alla rete. In un simile contesto è plausibile anche che la varietà linguistica della rete si intensifichi ulteriormente e non si ‘uniformi’ ad un’unica voce. Anche in questo l’inglese credo saprà trovare la sua forma di adeguamento. Non dimentichiamoci, però, che anche la cultura italiana sa dimostrare grande versatilità e capacità di adattamento… le lingue sono maestre in fatto di coesistenza!”.