Ospiti importanti, testimonianze toccanti, casi che ancora fanno discutere. Si è chiuso il convegno sui diritti inviolabili dell’uomo, giunto all’ottava edizione, che si è svolto al Polo Zanotto e alla Fiera di Verona durante lo scorso fine settimana. Agli incontri sono intervenuti testimoni di violazioni dei diritti umani, docenti universitari e numerose scolaresche della provincia di Verona. Obiettivo del convegno era mostrare, in particolare ai più giovani, cosa siano i diritti e la loro importanza tramite i racconti di persone che sono state vittime di gravi violazioni. Quest’anno l’evento è stato aperto da una piccola cerimonia, in cui sono stati consegnati i nomi per realizzare delle formelle, che entreranno a far parte del “Percorso della memoria di Davide Caprioli, il veronese morto a 20 anni nella strage della stazione di Bologna del 1980 e di Massimo D'Antona, giuslavorista e professore universitario ucciso dalle Nuove Brigate Rosse nel 1999.
Polo Zanotto. L’incontro della prima giornata è stato aperto da Paolo Corsini, docente dell’Università di Parma, che ha illustrato un percorso giuridico dei diritti che “non sono un dato assoluto, ma un prodotto storico”. Nel suo intervento ha descritto le conquiste che sono state fatte nel corso della storia soffermandosi sulla Magna Charta del 1215, primo documento in cui viene affermato il principio dell’habeas corpus, all’epoca moderna con l’affermazione dei diritti dell’uomo e le teorie illuministe sullo stato e il governo, fino ad arrivare alla Carta di Nizza del 2000 in cui si parla di diritti e libertà, affrontando tematiche ancora attuali come la bioetica e la protezione dei dati personali. Ma Corsini ha sottolineato come “organizzazioni come l’Onu abbiano fallito, perché si parla di globalizzazione economica e non di globalizzazione sociale dei diritti” e ribadendo come “sia importante il protagonismo attivo di tutti i cittadini”. Successivamente sono stati mostrati alcuni spezzoni del documentario “Black block”, come introduzione al secondo relatore, Lorenzo Guadagnucci testimone oculare e vittima dell’intervento alla scuola Diaz durante il G8 di Genova del 2001, che ha raccontato le dinamiche dell’intervento della polizia, sottolineando più volte come “quella notte la polizia abbia sfiorato l’omicidio, rischio che gli agenti che hanno fatto il pestaggio si sono assunti, perché immuni da ogni possibile accusa, in quanto non identificabili”. A seguire la testimonianza di Patrizia Moretti, mamma di Federico Aldrovandi, il ragazzo di 18 anni morto nel 2005, a seguito delle percosse subite da quattro agenti di polizia. La mamma di Federico ha ribadito più volte “il sistema di omertà che si mette in moto quando le forze dell’ordine abusano del proprio potere, commettendo dei reati penali”. Ha quindi raccontato col sostegno di Checchino Antonini, giornalista che ha seguito la vicenda, la tragedia che vive dalla morte del figlio, ribadendo l’importanza dell’informazione e della verità, che lei continua a portare avanti e che le sta costando numerose querele da parte dei poliziotti coinvolti nel pestaggio stesso del figlio e delle indagini fatte in seguito. La mattinata è stata chiusa dall’intervento di Amnesty International, ente che opera dal 1961 per la lotta dei diritti umani, che ha scelto come simbolo una candela cinta dal filo spinato, immagine che ricorda il detto cinese “meglio accendere una candela, che maledire l’oscurità”.
In Fiera. La seconda giornata è stata aperta da alcuni spezzoni del film “Detenuto in attesa di giudizio” del 1971, che racconta la vicenda del geometra Giuseppe Di Noi, interpretato da Alberto Sordi, in cui vengono mostrati i trattamenti umilianti e di denigrazione della persona, a cui vengono sottoposti i detenuti. Un’introduzione usata per creare un parallelo con la vicenda degli abusi avvenuti nella caserma di Bolzaneto, durante il G8 di Genova, uno dei primi casi in cui lo Stato italiano è stato condannato a risarcire le persone che hanno subito abusi in questa vicenda. Protagonista è stato poi il giornalista siriano Shady Hamadi che ha raccontato le terribili vicende di cittadini siriani che si sono ribellati alla dittatura, come Rima Dali, ragazza arrestata ad aprile di quest’anno e poi rilasciata e ora di nuovo in carcere dal 21 novembre scorso, dopo aver partecipato ad una manifestazione di protesta al mercato di Damasco, assieme ad altre tre ragazze. Ora tutte e quattro sono in stato di arresto e non si hanno più loro notizie, “anche se sembrerebbe – ha aggiunto Hamadi – che Rima sia stata trasferita in una sezione speciale dei servizi segreti, da cui molte persone non fanno ritorno”. A seguire sono state proiettate alcune scene del film “148 Stefano – I mostri dell’inerzia”, realizzato dalla famiglia di Stefano Cucchi, ragazzo morto nel 2009 a causa di ripetuti pestaggi subiti nei pochi giorni della sua detenzione in carcere. Vicenda che è poi stata raccontata in prima persona dal papà e dalla mamma di Stefano, che hanno descritto gli ultimi giorni del figlio, dal momento dell’arresto, al processo, le visite in ospedale, la notizia della morte del figlio appresa tramite un documento burocratico e l’identificazione del cadavere all’obitorio. Infine le testimonianze dei relatori hanno sottolineato che in Italia, nonostante esista una legge che vieta la pena di morte, non sia presente una legge che introduca il reato di tortura, grave lacuna della nostra legislazione, che l’Unione europea chiede di sanare dal 2005.