Un ciclo di conferenze per sensibilizzare gli studenti di Medicina alle problematiche dei Paesi del Terzo mondo. Deus ex machina dell’XI° corso elettivo “Problematiche medico antropologiche nei Paesi in via di sviluppo”, organizzato dall’Università di Verona, è il professor Ezio Maria Padovani, docente di Pediatria all’ateneo scaligero.
Abitualmente sono invitati a parlare dei rappresentanti di organizzazioni che lavorano “sul campo” per riferire le loro esperienze personali e delle strutture che rappresentano. Quest’anno, seguendo questa filosofia, tra i relatori vi sono Alessandra Coin della Comunità di Sant’Egidio, Anna Ciannameo del Centro salute internazionale di Bologna, Federico Marcon della Fondazione Don Gnocchi. Quattro le conferenze in programma. Ha aperto i lavori l’incontro che si è tenuto lo scorso 7 maggio "Dream: curare l’Aids in Africa è possibile". La seconda giornata è stata dedicata al tema “Antropologia medica e cooperazione internazionale”. Il 22 maggio nell’Aula B del Policlinico Rossi si è parlato de “I principi della salute globale nell’aiuto pubblico della cooperazione italiana: linee guida ed applicazione da parte della Fondazione Don Gnocchi”. A chiudere il ciclo di incontri il prossimo 28 maggio un tema particolarmente caro agli organizzatori: “Esperienze di docenti dell’Università di Verona nel progetto Burundi”. Ad affiancare il professor Padovani nell’organizzazione delle conferenze due preziose collaboratrici, Lucia De Franceschi e Mita Bertoldi, docenti di Medicina all’ateneo di Verona.
Professoressa De Franceschi, come e quando è nato il corso, grazie a chi e con quale scopo?
“Il corso è iniziato nell'anno accademico 2000-2001 con lo scopo di sensibilizzare gli studenti di medicina alle problematiche, soprattutto mediche, dei Paesi in via di sviluppo, questo in relazione anche al progetto che l'Università di Verona ha attivato con l'Università di Ngozi in Burundi, a sostegno della formazione di figure professionali nell'ambito sanitario.
Quali sono i vantaggi e le opportunità per gli studenti di medicina nell'adottare il punto di vista dell'antropologia medica e nell'affrontare i problemi dei Paesi in via di sviluppo?.
“Il corso offre agli studenti la possibilità di aprirsi all'incontro con realtà culturali diverse dalla nostra dato che la popolazione italiana che accede al servizio sanitario nazionale è diventata multietnica in seguito alla globalizzazione e ai flussi migratori. Inoltre, l'antropologia medica consente di porsi interrogativi su visioni diverse del mondo della malattia, cura e salute, favorendo l'accoglienza delle diversità come ricchezza in modo tale che diventino risorse per la crescita professionale e personale abbattendo stereotipi che ostacolano l' incontro con il paziente straniero. Infine, l'avvicinamento alle problematiche di antropologia medica si inserisce anche nelle progettualità di cooperazione sanitaria internazionale”.
Quali sono le problematiche che hanno animato e motivato gli interventi di quest'anno e la scelta dei relatori?
“Il corso vuole essere legato alla realtà e alle problematiche sanitarie nei Paesi in via di sviluppo. Abitualmente invitiamo relatori che espongano lapropria esperienza personale o quella di organizzazioni internazionali impegnate in progetti di cooperazione sanitaria. E anche quest’anno abbiamo seguito questa filosofia nell’organizzare gli incontri”.