Lo scorso 10 settembre è venuto a mancare, in seguito ad un incidente occorso dopo una cena di saluto ad un suo collaboratore nella foresteria aziendale, Steno Marcegaglia, nativo di San Giovanni Ilarione e fondatore del più grande gruppo privato italiano della produzione di manufatti in acciaio: 50 stabilimenti e 7500 dipendenti. Steno Marcegaglia più volte si è messo a disposizione degli Studenti della nostra Università. Raccogliamo Alessandro Lai, ordinario di Economia aziendale dell’ateneo, il ricordo di quegli incontri.
C’era un silenzio surreale carico di interesse e di meraviglia, nell’aula più grande del nostro ateneo, dopo che Steno Marcegaglia aveva iniziato a raccontare la sua storia di impresa e di vita. Era il silenzio di quando centinaia di studenti, con il pienone delle grandi occasioni, capiscono che quanto stanno ascoltando è qualcosa di unico.
Avevamo preparato molto, insieme al professor Antonio Tessitore, quell’incontro del sabato mattina, che si svolgeva in un anno accademico – a metà degli anni ’90 – disteso da novembre a maggio, quando alle lezioni tenute durante i giorni “ordinari” della settimana si aggiungevano incontri di approfondimento, tutti i sabati dalle 8.30 alle 12 per tutto l’anno: altri tempi. Eravamo andati a discuterne con Steno a Gazoldo degli Ippoliti dove lui aveva voluto capire e definire, meticoloso com’era, ogni dettaglio, sia riguardo alle finalità dell’incontro, sia al contenuto, sia agli aspetti di tipo operativo. Non poteva non essere così per un imprenditore che dalla propria scrivania controllava sui monitor tanto gli andamenti mondiali dei mercati finanziari e delle materie prime, i grandi scenari mondiali, quanto gli accessi delle singole persone nei propri uffici e nei propri palazzi.
Nel nostro corso si parlava di bilancio, in specie del Bilancio della Marcegaglia Spa, che gli studenti avrebbero studiato tutto l’anno avendolo come caso-guida, ma l’idea era di fare vedere che cosa c’era dietro a quel bilancio. E Steno ci fece immergere completamente nella sua storia, nell’idea di fondo che l’aveva guidato sempre, nelle poche essenziali regole alle quali si atteneva, nella crescita vigorosa dell’impresa la cui costanza e linearità celava invece sfide difficili, nella sua intima idea d’impresa. Non predicata e raccontata come noi professori possiamo fare, ma con una testimonianza di vita che rende credibili anche le intuizioni più stravaganti, non foss’altro perché sono state realizzate e vissute davvero. Il tutto retto da un pensiero imprenditoriale tanto semplice da sembrare disarmante: trasformare tutto l’acciaio che si poteva trovare nel mondo, anche quello scartato, qualitativamente peggiore e a più basso prezzo, perché potesse essere impiegato in produzioni di qualità a largo spettro, dal tubo che forma la gamba di una sedia, alla serpentina di un frigorifero o ai freni di una autovettura, alle raffinate condutture di impianti tecnologicamente avanzati. Il tutto si fondava su un controllo rigoroso dei processi e degli acquisti per creare la possibilità di avere ragione su margini economici piccolissimi ed apparentemente incomprimibili. Eppure, quello che ha fondato Steno è davvero un impero.
Colpiva, di Steno, la forza con la quale la propria vita personale e l’azienda erano un tutt’uno, proiettate verso la medesima direzione e irrimediabilmente coinvolte nelle stesse sorti, sicché le decisioni, le energie, le ambizioni e i successi si condividevano nella famiglia e fra i collaboratori, la famiglia allargata. Così era più facile trovarlo con l’elmetto protettivo in azienda, vicino agli impianti che i “suoi” operai avevano essi stessi ideato o migliorato (e ne andava entusiasticamente fiero) piuttosto che a qualche festa della buona società. Quando, alcuni anni dopo quel primo incontro a Verona, Steno accolse di persona nel suo stabilimento un folto gruppo di studenti della nostra università da me guidati, ci lasciò tutti attoniti per la sua capacità di passare dalle grandi strategie e dagli scenari mondiali – di cui ci aveva appena parlato in ufficio – agli aspetti più tecnici fino alla vera e propria guida dei macchinari, che gli piaceva condurre di persona (e per questo chiedeva agli addetti di farsi da parte per dimostrarcelo e rinfrescarselo). Ma soprattutto ci lasciò vedere dall’interno dell’azienda il rapporto con i suoi operai: c’era una parola per tutti, un interesse per le vicende familiari di ognuno, anche le più semplici e naturali, come la nascita di un figlio o la salute della moglie. Aiutato dalla poderosa memoria, Steno li chiamava tutti per nome e aveva per ciascuno una domanda personalizzata; andava fiero che nei suoi stabilimenti non ci fosse stata un’ora di sciopero contro di lui: come era infatti possibile, se quella era la sua famiglia?
Ancora il 18 novembre 2008 Steno è ritornato a Verona nella nostra aula di Ragioneria: abbiamo trasmesso l’evento in diretta streaming anche alla sede di Vicenza per condividere la sua testimonianza in modo più largo: Steno era molto contento di questo. E’ ritornato per riparlarci del suo gruppo e del suo bilancio, in un tempo tutto diverso da quello dei primi incontri, anche per lui, agli albori di una crisi che stava minando la credibilità del nostro Paese e stava piegando la forza di quelle classi per le quali Steno si è sempre speso. Ma in un momento così difficile, la forza dell’unità dell’impresa emergeva vigorosa non solo dalle sue parole, ma dal vissuto che ci trasmetteva. Steno ribadiva la centralità del sistema valoriale basato sulla famiglia che si occupa dell’impresa, che ne fa ragione di vita e ne condivide senza eccezioni e fino in fondo le sorti. Fino in fondo: con una governance coerente, senza distrarre da essa le risorse perché essa possa continuare, con un impegno che non può trovare soluzione di continuità, con una vicinanza ai propri collaboratori che nasce nei momenti di crescita e di successo ma si cementa in quelli nei quali bisogna rinunziare al superfluo per condividere, tutti insieme, le sorti comuni. Per questo motivo, la fattiva collaborazione dei suoi figli in azienda e la loro adesione irrinunciabile a questo progetto era per lui motivo non solo di orgoglio e di soddisfazione ma anche di solerte premura per le sorti future della Sua azienda.
Steno ha scritto pagine straordinarie della storia imprenditoriale d’Italia. E mentre lo ha fatto, ha realizzato senza nessun “se” e “ma” le idee della dottrina sociale d’impresa. Forse è andato ben oltre quelle. Le ha rese coessenziali al proprio sviluppo e al proprio successo. Senza arzigogoli, con la semplicità e l’immediatezza di convinzioni sorrette dall’intelligenza e dalla consapevolezza di dove non ci si deve fermare. Steno ha innovato la governance, il sistema di management e quello del controllo: anche quando lo delegava, manteneva sul divano del suo ufficio le fatture di acquisto più importanti, per studiarne i prezzi e la loro evoluzione, per non farsi “scappare” una variazione nei margini che la materia prima gli poteva lasciare.
A lui il merito di tutto questo. A noi che studiamo l’impresa, il compito di capire fino in fondo il Dna della sua formula, facendone ragione di appassionata ricerca e poi di insegnamento. Se ci riuscissimo, sarebbe questo, di Steno, un ulteriore inaspettato regalo destinato solo alle future generazioni.