Mangiare è uno dei piaceri della vita, ma quanto di ciò che consumiamo è naturale e conforme ai suoi principi? Qual è la differenza tra un prodotto naturale, uno artificiale e uno coltivato? In quest'ottica si è parlato sabato 15 marzo all'auditorium della Gran Guardia con il convegno «Biodiversità e cibo. L'evoluzione sulla nostra tavola», coordinato da Mario Pezzotti, docente di Biotecnologie all'università scaligera, che ha visto gli interventi di Massimo Delledonne, ordinario di genetica dell'università di Verona, Zeno Varanini, ordinario di Chimica agraria dell'ateneo veronese, Carlo Soave, docente del dipartimento di Biologia dell'università di Milano, e Luigi Frusciante del dipartimento di Agraria dell'università Federico II di Napoli.
Spesso confondiamo per naturale ciò che non lo è, come ha sottolineato Carlo Soave. «I prodotti che troviamo oggi sulle nostre tavole sono il risultato di manipolazioni genetiche effettuate dall'uomo rispetto a quanto la natura offriva. Una selezione iniziata circa 10000 anni fa con la domesticazione delle piante, quando piccole bande di cacciatori e raccoglitori si trasformarono in contadini partendo dalle piante che avevano intorno. Con la "rivoluzione verde" della seconda metà del XX secolo queste manipolazioni sono aumentate sempre più allo scopo di aumentare la produttività delle piante e soddisfare il maggior fabbisogno umano».
In particolare, Luigi Frusciante nel suo intervento ha analizzato il caso del pomodoro, uno dei vegetali più studiati a livello genetico e genomico: da pianta considerata nociva e pericolosa è diventata oggetto di speranze nel campo medico grazie all'alto contenuto di sostanze antiossidanti. «Quella del pomodoro è la storia di un immigrato di successo, giunto dal Messico in Spagna prima e poi nel resto d'Europa. Tuttavia, come ci suggerisce il nome, all'inizio il pomodoro assomigliava molto alle mele anche a causa del suo colore dorato. L'attuale colore rosso non è altro che il risultato della selezione umana che ha reso questo prodotto povero uno dei simboli dell'Italia e della dieta mediterranea».
Molto spesso le cose stanno diversamente da come ci appaiono, come ha spiegato Massimo Delledonne. Attraverso l'uso di nuove varietà ibride create con innovative tecniche di selezione artificiale associate all'utilizzo di nuove tecnologie agricole, la rivoluzione verde ha portato ad un enorme aumento delle produzioni agricole per i prodotti di più largo consumo, innescando però grandi dibattiti sulle modalità utilizzate. « L'intervento umano ha anche creato danni. Le banane, ad esempio, hanno bisogno di trattamenti settimanali perchè è aumentata la sapidità della pianta a danno della capacità di resistere alle malattie. Non possiamo definire le piante coltivate come organismi geneticamente modificati, però dobbiamo fare attenzione. Anche i prodotti biologici non sono sempre sinonimo di cibo più sano».
Come affrontare, dunque, la sfida di una popolazione mondiale in costante aumento a fronte di una sempre minor disponibilità di suoli da utilizzare? «Dobbiamo aumentare la produttività, più di quanto stiamo già facendo – ha affermato Zeno Varanini – Dobbiamo usare "input" chimici e acqua, tendendo comunque presenti costi ambientali ed economici. Ma soprattutto dobbiamo puntare sugli apparati radicali delle piante, migliorandone la capacità di attirare e assorbire i nutrienti e aumentandone la resistenza anche in condizioni sfavorevoli. Si tratta di un campo ancora inesplorato dalla ricerca che offre grandi potenzialità. Basti pensare che alcune radici sono in grado di tenere lontano l'alluminio, la cui alta presenza causa l'eccessiva acidità che colpisce il 40% dei suoli coltivati al mondo».
18.03.2014