Abbandonare le armi e combattere per la pace. È questa l’azione di Combatants for peace, l’associazione non violenta israelo-palestinese nata dalla volontà di ex combattenti di entrambi i fronti, esercito israeliano e Fatah, per mettere fine al circolo della violenza. A portare la testimonianza di chi si impegna in prima linea in questa missione Ben Yeger, rappresentante del Regno unito di questa organizzazione, intervenuto in ateneo ospite di Olivia Guaraldo e Lorenzo Bernini, ricercatori di filosofia politica. Yeger ha raccontato agli studenti la propria esperienza e il percorso intrapreso con i Combatants for peace. “Sono qui per raccontare la storia di come ex combattenti, israeliani e palestinesi, stiano facendo sforzi enormi per costruire la pace senza ricorrere alla violenza” ha spiegato Yeger “Il mio obiettivo è quello di condividere con più persone possibili la voce che afferma l’opportunità di cambiare la storia, una storia secondo cui è inevitabile non avere un nemico”.
“Combatants for peaceè un movimento nato nel 2005 da un piccolo gruppo di palestinesi e israeliani che, in seguito a numerosi episodi di violenza, ha deciso di deporre le armi e di lottare per la pace”. Così Ben Yeger ha definito l’associazione non violenta di cui fa parte, che grazie al lavoro di centinaia di membri e migliaia di sostenitori, si propone di porre fine all'occupazione della Palestina e di instaurare un dialogo costruttivo tra le parti coinvolte. Ogni anno Combatants for peace celebra il Memorial Day israelo-palestinese, un momento in cui si ricorda che la guerra non è un atto del destino, ma una scelta umana. “È importante – ha commentato Yeger – organizzare eventi che trattino e promuovano la connessione tra le persone, per evitare ed andare oltre i conflitti nazionali”.
“Con l’incontro di oggi – ha spiegato Lorenzo Bernini – vogliamo dimostrare com’è possibile vivere la politica e l’attivismo politico in modo da sfidare la contrapposizione amico-nemico. Esistono forme di pacifismo radicale, di pensiero non violento, delle pratiche politiche come quella di Ben Yeger, il cui scopo è proprio quello di umanizzare il nemico, riconoscendone l’umanità a partire dalla consapevolezza di una comune vulnerabilità”.
“La presenza di Ben Yeger – ha aggiunto Olivia Guaraldo– qualifica ulteriormente il tentativo di far entrare all’interno dell’università voci di attivisti importanti non solo dal punto di vista pragmatico, ma anche teorico, che non si sentono spesso in Italia. Vogliamo far sì che l’accademia non sia uno spazio chiuso, una torre d’avorio in cui discutere tra specialisti in maniera autoreferenziale, ma che al contrario si riveli un luogo in grado di accogliere pratiche e linguaggi provenienti dal mondo esterno in modo tale da contaminare le riflessioni filosofiche e politiche che portiamo avanti”.
29/04/2014