La storia come chiave per leggere il presente . Ma non solo. Il metodo di studio dello storico può essere utile anche in settori professionali molto diversi come, ad esempio, per svolgere inchieste poliziesche e indagini del giudice istruttore. Ne è convinto Alessandro Pastore, ordinario di Storia moderna e docente del corso di laurea magistrale interateneo in Scienze storiche. Abbiamo fatto il punto con lui sull’importanza dello studio della storia per la formazione delle nuove generazioni.
Quanto è importante conoscere la storia per le nuove generazioni?
L’esigenza di conoscere la storia delle generazioni e dei secoli che ci hanno preceduto e di metterla in correlazione con il tempo presente è stata da sempre motivo di curiosità, di attenzione e di studio. Basti pensare, nel Rinascimento, a Machiavelli che confronta le vicende politiche e militari coeve con quelle dell’antica Roma; o, nel Settecento, a Voltaire che ripercorre la storia della civiltà europea dalla Grecia classica sino alla Versailles di Luigi XIV. Anche le Rivoluzioni, come quella francese o quella russa, hanno inteso fare “tabula rasa” delle tradizioni e del potere che hanno avversato e abbattuto, non hanno però perso il contatto con la storia ma hanno continuato a indagarla e a trarne elementi di analisi e di riflessione.
Tuttavia non sono solo i grandi intellettuali a cimentarsi con la storia, quella con la Esse Maiuscola: la memoria degli eventi della città italiane ed europee è stata fissata in una miriade di scritture, a stampa e manoscritte, che datano dal Medioevo ai nostri giorni e che affollano gli scaffali delle biblioteche e i depositi degli archivi, conservando il sapore delle varie dimensioni della vita quotidiana e spaziando dalle abitudini alimentari alle credenze religiose, dai comportamenti sessuali ai reati più frequenti e alla loro punizione.
Si afferma comunemente che il mondo nel quale viviamo assiste a trasformazioni di grande portata nella sfera dell’informazione e nella comunicazione. Ma lo storico è bene consapevole che ciò non rappresenta un “unicum”: altri fasi e congiunture, come ad esempio l’invenzione della stampa a caratteri mobili o le relazioni di scambio umano e commerciale avviate con scoperte geografiche fra Quattrocento e Cinquecento, dimostrano che la “velocizzazione” dei saperi non è esclusivamente legata al computer e a Internet. Dunque lo studio della storia aiuta anche a far comprendere allo studente che il ruolo cruciale della comunicazione non costituisce una prerogativa dell’attualità.
In che senso il corso di laurea in Scienze storiche può formare i professionisti del futuro?
Direi allo studente intenzionato ad approfondire il suo sapere storico frequentando i corsi e i seminari della laurea magistrale inter-ateneo Trento – Verona che egli ha davanti a sé due sfide e due opportunità: una di sostanza e una di metodo. La prima è quella di arrivare a disporre di un bacino di conoscenze utili a comprendere la genesi e la formazione della realtà materiale, umana e sociale nel quale si trova a vivere e che gli saranno utili nell’ambito di un lavoro intellettuale a più dimensioni (ricerca; insegnamento; attività editoriale; istituzioni culturali nazionali e internazionali; giornalismo; impegno politico e amministrativo a livello locale, regionale, italiano ed europeo). La seconda sfida e opportunità è quella di apprendere il metodo di lavoro dello storico: individuazione dei dati; incrocio delle fonti; esame delle testimonianze; stesura di un testo sulla base di una ricostruzione di un evento o di caso condotto sulla scorta dei documenti reperiti; ecc. Se ben riflettiamo, questo è un percorso che si avvicina anche ad altre competenze e professionalità (l’inchiesta del funzionario di polizia; l’indagine del giudice istruttore) e che quindi dimostra la validità delle tecniche che lo studente di storia apprende attraverso la lettura di libri, saggi ed articoli degli storici di ieri e di oggi; l’ascolto e il confronto con i docenti; il contatto diretto con i documenti che ritrova negli archivi; la stesura di un saggio breve teso a ricostruire un frammento di storia, di un passato lontano o vicino.
In quale modo lo studio della storia può conciliarsi con quello di altre discipline quale, ad esempio, la medicina?
Se posso partire da una considerazione personale, direi che l’insegnamento di “Storia culturale e sociale della medicina” impartito prima presso la laurea magistrale veronese in Scienze storiche, poi negli ultimi due anni all’interno di quella inter-ateneo concordata fra Trento e Verona, ha trovato un suo spazio e un certo consenso fra gli studenti. Già il corso di “Storia delle scienze e delle tecniche”, tenuto dal collega Luca Ciancio, aveva dimostrato l’interesse che una quota di studenti nutre verso ambiti disciplinari che superano confini stretti e che operano confrontando saperi umanistici e saperi scientifici. Malgrado la reciproca freddezza che tradizionalmente esiste nel contesto italiano fra i due campi (si pensi al peso negativo dell’eredità crociana nella considerazione della conoscenza scientifica), l’impressione soggettiva è che una parte di studenti sia portata a volersi misurare con autori, testi e problemi che vanno al di là dei recinti disciplinari consolidati e di maniera.
Un esempio appropriato è quello dello studio della medicina considerata da una prospettiva storica di lunga durata che parte dal lascito di Ippocrate e Galeno per giungere alle forme dell’assistenza sanitaria nelle società contemporanee. I corsi di “Storia della medicina” erano sì professati in Italia nei decenni passati in alcune facoltà di Medicina e Chirurgia, anche se spesso le lezioni erano improntate ad una visione – come è stato scritto – “eroica, agiografica e autocelebrativa” della professione medica. Oggi in diversi paesi europei ed anche in Italia nelle Facoltà (ove sussistono) e nei Dipartimenti universitari interessati alla formazione delle professioni sanitarie si ragiona più in termine di “medical humanities”, e dunque in una logica interdisciplinare che fa convergere gli apporti della storia, dell’antropologia, della sociologia e dell’etica funzionali alle pratiche della prevenzione e della cura del corpo. Dal versante della storia insegnata nei corsi di laurea magistrali a ciò dedicati, la posta in gioco è quella di smentire le costruzioni di maniera di una prospettiva graduale, costante e progressiva delle acquisizioni della scienza medica e di proporre invece una lettura delle conoscenze e delle pratiche terapeutiche verificate nel contesto delle società e delle culture nelle quali agiscono gli operatori sanitari. Su questo terreno lo studente magistrale di storia può fare opportunamente interagire le informazioni e le conoscenze di storia generale con quelle che derivano dai testi scritti, dalle immagini visuali e dai resoconti di esperienze legate all’esercizio della medicina.
06/08/2014