Cultura secolare o libertà? La risposta a questo quesito è stata il filo conduttore del seminario internazionale sui matrimoni combinati e forzati tenutosi al Polo Zanotto. Nell’occasione è stato presentato ilJoint Project 2012 “For.Me Mentis”a cura di Anna Maria Piussi, coordinatrice scientifica del progetto e direttrice del centro studi “Differenze sessuali, educazione e formazione” dell’ateneo, e da Maria Grazia Soldati, assegnista di ricerca.
Matrimoni combinati o matrimoni imposti? Il confine tra i due termini è tuttora dibattuto e la mancanza di una definizione ufficiale a livello internazionale è la causa dell’impossibilità di avere dei numeri certi circa l’incidenza del fenomeno su base europea. Tra i primi lavori in Italia sull’argomento, il progetto For.Me Mentis tratta di un fenomeno dinamico ancora poco studiato che assume peculiarità diverse a seconda delle caratteristiche della comunità di migranti che si osserva. La conferenza ha fornito l’occasione di raccontare da una parte l’attività di Farwha Nielsen, esperta danese di mediazione culturale e ideatrice del metodo etniskkvindeconsult, dall’altra di mostrare i risultati di una ricerca svolta a Brescia, basata sull’esperienza e i pensieri di giovani donne nate o cresciute nel nostro Paese da famiglie emigrate dal sud-est asiatico.
Inevitabile, universale, formativo. L’indagine ha coinvolto 102 ragazze di origine indopakistana tra i 14 e i 24 anni, provenienti da tre scuole superiori bresciane che presentavano grandi concentrazioni di studenti di discendenza punjabi. Nel corso di quattro focus group e di un incontro intergenerazionale, si è cercato di capire queste pratiche, coinvolgendo le famiglie e le comunità di appartenenza. Dall’analisi di 59 narrazioni è emerso che le giovani vivono il matrimonio come un evento necessario nella vita di tutte le donne, il naturale epilogo del compito educativo dei genitori, il quale si concretizza nell’individuazione di uno o più candidati. Diversi sono gli atteggiamenti assunti dalle ragazze di fronte alla proposta di uno sposo: alcune affermano di rassegnarsi e di rimettersi alle decisioni dei genitori, altre cercano di indurre una scelta gradita, altre ancora agiscono in autonomia ma con mandato famigliare e infine un gruppo sostiene di voler trasgredire le regole e di optare per un’unione d’amore.
Brescia, città multiculturale. La scelta della realtà lombarda come campione d’indagine non è stata casuale, ma piuttosto il frutto di due fattori: l’elevata presenza di stranieri di origine pakistana e indiana e la vasta esperienza nella mediazione culturale, anche da parte delle cooperative sociali che hanno contribuito alla ricerca, tra cui “Sol.Co”, “Trama di terre” e “Tante tinte”. Un esperimento destinato a non arrestarsi con la fine del Joint Project, ma piuttosto, come auspicano le curatrici, “ad espandersi presto anche nel territorio veronese”.
Ascolta l'intervista ad Anna Maria Piussi realizzata dalla redazione di FuoriAula Network
01.10.2014