“Opera d’arte è un concetto opaco, un’espressione moderna.” Con questa riflessione il filosofo Giorgio Agamben ha aperto l’open lesson “L’eclissi dell’opera d’arte” che si è tenuta venerdì 21 novembre in occasione del workshop internazionale “Valore di esposizione e museificazione. L’opera d’arte nell’epoca della mercificazione dell’eredità culturale.” Ad aprire l’appuntamento Milena Massalongo.
“É l’opera che appartiene all’arte o l’arte che appartiene all’opera? E ancora, si può immaginare un’arte senza opera?”. Per capire come si è evoluto questo concetto il filosofo ha ripercorso la storia dell’arte dalla Grecia classica al ‘900. “Nella Grecia classica – ha spiegato Agamben – gli artisti erano considerati degli artigiani che producevano delle cose, il fulcro non è il lavoro dell’artista ma l’opera. L’opera prevale sul lavoro dell’artista. In epoca romana l’attenzione si sposta dall’opera all’artista ed è un passaggio che si evince dai documenti giuridici, sintomo che il diritto evolve l’attenzione e fa sportare l’interesse. Nel Rinascimento gli artisti rivendicano l’importanza del loro lavoro e del loro statuto sociale. Nel Novecento si è poi iniziato a discutere del valore di esposizione dell’opera. Questo valore non è da confondersi con il valore di scambio e d’uso. Sono tre concetti separati. L’opera delle avanguardie del ‘900 è fatta per essere esposta nei musei e nelle gallerie, ha ormai perso il suo valore d’uso, mantiene però il valore di scambio in quanto è un oggetto.”
A chiudere l’incontro Durs Grünbein uno dei massimi poeti e saggisti della Germania post-unificazione che ha letto alcune sue opere inedite.
26.11.2014