Un altro passo in avanti nella comprensione delle cause genetiche che determinano l’infarto del miocardio. Pubblicata nei giorni scorsi sulla prestigiosa rivista scientifica “Nature” i risultati di una nuova ricerca a cui hanno partecipato attivamente alcuni ricercatori dell’Università di Verona e della locale Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata, Domenico Girelli, Nicola Martinelli, e Oliviero Olivieri, appartenenti al Dipartimento di Medicina e alla Sezione di Medicina Interna, diretta dallo stesso professor Olivieri. Il nuovo studio, coordinato da Sekar Kathiresan dell’Università di Harvard e del Massachusetts Institute of Technology di Boston, si è focalizzato sui soggetti con infarto giovanile o “precoce”, ovvero che insorge prima dei 50 anni negli uomini e prima dei 60 anni nelle femmine. Questi casi rappresentano un modello ideale per studiare il Dna nell’infarto, dato che in essi il ruolo dei fattori genetici è ritenuto essere massimale.
Malattie cardiovascolari e fattori genetici. Secondo i dati più recenti elaborati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, le malattie cardiovascolari rappresentano la patologia più diffusa e la principale causa di morte al mondo, sia nei Paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo. Nell’ambito di tale gruppo di malattie, l’infarto miocardico acuto rappresenta il “killer n.1”, determinando da solo oltre 7 milioni di decessi ogni anno. Sebbene stili di vita scorretti quali fumo, diete ipercaloriche e ricche di grassi e scarsa attività fisica siano i principali determinanti dell’infarto, un ruolo importante lo giocano anche i fattori genetici, che possono spiegare circa il 40% del rischio di sviluppare l’infarto stesso. Negli ultimi anni, con il miglioramento delle tecnologie per l’analisi e lo studio del Dna, sono stati fatti enormi progressi nel riconoscimento dei fattori genetici implicati nell’infarto, sebbene la loro definizione completa sfugga ancora agli sforzi dei ricercatori. I ricercatori dell’ateneo conducono da anni ricerche sulla genetica dell’infarto nell’ambito dello studio veronese sul cuore, ormai noto in tutto il mondo come “Verona Heart Study”, e reso possibile anche grazie al supporto della Fondazione CariVerona e della Regione Veneto.
I risultati dello studio. Dopo avere individuato negli ultimi anni diverse varianti genetiche comuni associate a un rischio moderato di sviluppo di infarto, i ricercatori si sono questa volta concentrati sulle varianti relativamente più rare, ma a rischio più elevato. “Ciò – spiegano – è stato possibile applicando metodiche di sequenziamento del Dna di ultima generazione (Next Generation Sequencing o Ngs) per lo studio degli “esomi”, ossia delle regioni dell’intero Dna che controllano la produzione di tutte le proteine che compongono l’organismo umano. Grazie a queste sofisticate metodiche, in grado di studiare il Dna con una precisone e un’accuratezza impensabili fino a qualche anno fa, i ricercatori hanno individuato due geni particolarmente importanti nello sviluppo dell’infarto miocardico. Il primo è il gene che codifica per il recettore del cosiddetto colesterolo “cattivo”, o colesterolo Ldl (Ldl receptor o Ldlr). Mutazioni inattivanti questo gene causano una ridotta rimozione dal sangue del colesterolo Ldl, che va così ad accumularsi nelle arterie causandone infine l’ostruzione e l’infarto”.
Il gene Ldlr era noto da tempo, ma si pensava che le mutazioni al suo interno fossero molto rare. “Questo studio – continuano i ricercatori – dimostra invece che esse sono presenti nel 2% della popolazione generale, e i soggetti che ne sono portatori sono a rischio elevato di sviluppare un infarto giovanile, anche a prescindere da stili di vita scorretti. Le metodiche di Ngs permettono ora di individuare tali mutazioni a un costo contenuto, che andrà ulteriormente riducendosi nei prossimi anni. Ciò risulterà particolarmente importante per effettuare in questi soggetti una diagnosi precoce, necessaria per intervenire tempestivamente e prevenire lo sviluppo dell’infarto.
L’altro gene individuato è quello che controlla la sintesi di una proteina denominata apolipoproteina A5 (Apoa5), che si associa al trasporto nel sangue dei trigliceridi. “Mutazioni di Apoa5 – spiegano – impediscono la degradazione dei trigliceridi e ne aumentano la concentrazione nel sangue, favorendo anche in questo caso la formazione di placche vascolari che rappresentano la base su cui si sviluppa infine l’infarto. La scoperta di Apoa5 come gene implicato nell’infarto conferma il ruolo causale dei trigliceridi nello sviluppo della malattia, in aggiunta a quello più noto del colesterolo “cattivo”, e apre prospettive terapeutiche nuove per quei malati nei quali il solo controllo dei livelli di colesterolo sembra non essere sufficiente”.
16/12/2014
sm