Credo sia giunta a molti la notizia della morte di Caterina Gemma Brenzoni, storica dell’arte, insegnante e studiosa appassionata, collaboratrice da molti anni e a vario titolo con l’Università di Verona e con i suoi docenti.
Caterina se n’è andata il giorno del suo natale giovedì 8 gennaio, la celebrazione delle esequie si è svolta sabato scorso nella chiesa inferiore di San Fermo tra le immagini parlanti che tanto ha amato e che ci ha aiutato a conoscere nel loro significato prossimo e ultimo.
Nel tratto del suo cammino dei tempi più recenti ha dato un esempio di forza indescrivibile nell’affrontare con coraggio e lucidità il disegno misterioso della sua vita. Anche in questo è stata profonda, libera e generosa, lasciando un esempio e una consegna ineludibile.
Altre riflessioni le affido al ricordo commosso e anch’esso misterioso, al riparo da rischi di superficialità, di circostanza o formali. E per la loro dimensione marginale di fronte agli eventi definivi non è il momento di bilanci scientifici che potranno forse trovare con il tempo la loro sede.
In ogni modo, sento il dovere di estrapolare solo un granello, per gratitudine. Riguarda il suo impegno anch’esso libero e generoso, mai negato, sempre dinamico, propositivo ed entusiastico in favore della didattica di storia dell’arte che mi riguarda, la veste quella che per certi tratti rimane per me indefinibile di cultore della materia. Ultime telefonate sono state quelle che esprimevano il rammarico di non condividere uno spazio di vita gioiosa rappresentato dalle visite con i fortunati e numerosissimi studenti dell’ultimo corso a Castelvecchio, San Zeno e a Venezia, spesso in altre circostanze tenute a due voci, spartito il Medioevo e l’Età moderna senza artificiosi confini. In queste stesse conversazioni ha trovato il modo per alleggerire le sofferenze contingenti degli altri.
Non posso dimenticare come nel tempo natalizio del 2011 proprio Caterina Gemma Brenzoni mi sia stata d’aiuto nell’elaborare la notizia della morte di Miklós Boskovits che fu il tramite per la sua conoscenza. I legami fra maestro e “assistente” entrambi extra veronesi si potevano rinnovare una volta in più attraverso la partecipazione alla ricerca appassionata di una veronesissima dottoranda, disponibile a indagare e a introdurre sempre più tra le ricchezze della città scaligera. Nel nodo dell’elaborazione faticosa, tra i molti e complessi argomenti, si concordava nel ravvisare entro il lascito formidabile di colui che era divenuto un comune maestro un aspetto particolare, anzi una testimonianza di vita che sento particolarmente valida anche in questo momento del ricordo. La gratitudine si può esprimere nella concretezza, per quel poco spazio che ci compete dentro una limitata microstoria personale, anche attraverso l’impegno tutt’altro che celebrativo del quotidiano lavoro di ricerca da vivere come vocazione, missione (anche didattica) e come prospettiva di conoscenza libera e per tutto questo sconfinata.
Giorgio Fossaluzza