Tibet e ritorno, alla ricerca di una dimensione «altra» rispetto all'Occidente. Un'esperienza indimenticabile per due giovani veronesi che nel 1987, allora ventiseienni, viaggiarono per due mesi attraverso la Cina e il Tibet, arrivando ai piedi dell'Everest. Il viaggiatore Giuseppe Sandrini, ospite mercoledì 26 agosto del Film Festival della Lessinia, Ffdl, ha ripercorso le tappe di questo memorabile itinerario affrontato, trent'anni fa, al fianco del'amico fotografo Aldo Ottaviani e racchiuso nel libro Tibet e ritorno. Cronache e fotografie di un viaggio dalla Cina alla valle dell'Everest (edizioni Alba Pratalia). Con questo appuntamento la rassegna cinematografica internazionale di Bosco Chiesanuova (Verona) ha inaugurato la collaborazione con l’Università degli Studi di Verona che diventa da quest'anno partner degli incontri Parole alte.
Ad affascinare il pubblico, numeroso nella Sala Olimpica del Teatro Vittoria, le fotografie di un reportage ormai quasi d'epoca: furono scattate con la grande fotocamera a banco ottico che portarono avventurosamente con sé, dividendola nello zaino. Nella testimonianza di Sandrini, oggi docente di letteratura di Ateneo, il ricordo di una partenza affrontata con la spensieratezza della giovane età e con il desiderio di espressione legato soprattutto alla fotografia.
«Il Tibet era la nostra meta finale – ha detto dopo l'introduzione di Andrea Rodighiero –: nostro intento era raggiungere il tetto del mondo e il centro dell'Asia». Paesaggi dominati dai colori: luoghi, allora poco conosciuti. Molto diversi rispetto a quelli attuali, alcuni dei quali cancellati dalla modernità, in particolare nella Cina fluviale, contadina e popolare. Un Tibet fuori dal tempo, limpido nei sorrisi dei pellegrini e dei monaci, sospeso tra l'infinito degli altipiani e la soglia di neve dell'Himalaya. «Fu un'esperienza umana molto forte», ha aggiunto Sandrini, vissuta tra una sensazione di vivo interesse e, insieme, di spaesamento interiore.
Il Tibet contemporaneo e reale, ha attualizzato la filosofa Adriana Cavarero affrontando il tema delle filosofie dell'altezza, «è un mondo lontano e al tempo stesso vicino». È il luogo delle altezze, sia geografiche che spirituali. Se all'Occidente appartengono la razionalità e il dominio delle cose, ha chiarito, a esso si contrappone un Tibet dell'immaginario: «La montagna nella quale si fatica a respirare, dove bisogna uniformarsi a ciò che l'altitudine chiede». Una cultura, ha concluso, in cui «non esiste l'individualismo, ma gli esseri umani si fondono
e respirano con la natura. È il mondo dell'altura e della purezza sognato dall'Occidente. Nel quale fuggire».
27.08.2015