“Le carni lavorate come i wurstel ''sono cancerogene'', e vanno inserite nel gruppo 1 delle sostanze che causano il cancro a pericolosità più alta come il fumo e il benzene. Meno a rischio quelle rosse non lavorate,inserire fra le probabilmente cancerogene”. Ad affermarlo, il 26 ottobre scorso, l'International Agency for Research on Cancer, Iarc, dell'Oms in occasione della pubblicazione di un lavoro sulla rivista Lancet Oncology redatto sulla base di oltre 800 studi precedenti sul legame tra una dieta che comprenda le proteine animali e il cancro. Abbiamo chiesto a Giampaolo Tortora, scienziato e oncologo di ateneo, di commentare la notizia che in poche ore ha fatto il giro del mondo destando preoccupazione tra l’opinione pubblica.
L’associazione tra consumo di carni e l’aumento di incidenza di tumori del colon, riportata dall’Iarc dopo l’analisi di decine di studi epidemiologici, si riferisce alle carni lavorate, come insaccati, termine con cui si intendono tutte le carni che vengono trattate con fermentazione, affumicamento, aggiunta di conservanti o altre modalità, al fine di migliorarne la conservazione o il gusto. Nel cucinarle, specialmente con alte temperature come frittura, barbecue ecc., viene esaltata la produzione di sostanze cancerogene, tra cui nitroderivati e idrocarburi policiclici, che hanno un documentato effetto cancerogeno. Per questo l’Iarc le ha inserite nel Gruppo 1, il più pericoloso, a cui appartiene anche il fumo di sigaretta. Le carni rosse non lavorate invece appartengono al Gruppo 2A, in cui sono raggruppate sostanze potenzialmente cancerogene.
Che rapporto lega il consumo di questi tipi di carne allo sviluppo di neoplasie?
E’ stato dimostrato un legame tra il consumo di 50 grammi al giorno di carni lavorate e l’aumento del rischio di neoplasia, soprattutto al colon, del 18%. Ciò è dovuto alle sostanze che ho citato prima, note come cancerogeni da oltre un decennio. Per le carni rosse, invece, il consumo di almeno 100 grammi al giorno si associa a un aumento del rischio di circa il 17% di cancro al colon. Altre associazioni, in percentuale minore, sono state fatte con altre neoplasie dell’apparato digerente, della prostata e della mammella. La chiave di interpretazione, però, è sempre la quantità del consumo, il modo di cottura e anche la qualità dei prodotti. E’, infatti, evidente che il consumo e la tipologia delle carni nella dieta è estremamente variabile nel mondo. In Italia il consumo di carni lavorate e di carni rosse, sebbene con qualche differenza tra Nord e Sud, non è comunque paragonabile ad alcuni paesi del Nord Europa o agli Stati Uniti.
Da scienziato e medico che mette a confronto le evidenze della ricerca con quelle della pratica clinica, qual è il suo consiglio per i lettori di Univrmagazine?
Buon senso, scienza e tradizione devono guidare le nostre abitudini alimentari. La formula è quindi semplice: dieta mediterranea, rappresentata da un’alimentazione che privilegi frutta e verdura, con 5 porzioni al giorno (1 frutto è già una porzione), privilegiando anche potenti anticancerogeni come frutti rossi e cavoli, insieme a cereali integrali e legumi, associata a un ridotto consumo di carni rosse e un consumo sporadico di insaccati e all’adozione di stili di vita corretti (no al fumo e si all’esercizio fisico) è quanto possiamo fare da parte nostra per contrastare il rischio naturale di insorgenza dei tumori.
Roberta Dini
29.10.2015