I ricercatori del centro studi Wamaterc di ateneo, presieduto da Bettina Campedelli, docente di Economia aziendale, hanno esaminato gli standard di qualità stabiliti dai gestori del servizio idrico integrato nelle carte di servizio per gli anni 2010/2015. In particolare, sono stati analizzati gli indennizzi erogati in caso di mancato raggiungimento degli standard e i driver di qualità, quei fattori ambientali e organizzativi in grado di condizionare il livello del servizio. Abbiamo chiesto ad Andrea Guerrini, docente di Economia aziendale e membro del centro studi Wamaterc, di raccontarci lo studio condotto.
Quali aziende avete analizzato per il vostro studio?
Sono stati selezionati 157 gestori, partendo dal database disponibile sulla pagina web degli “operatori” sul sito Aeegsi, Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico. Tali aziende presentano caratteristiche difformi in termini di dimensione, localizzazione geografica, assetto proprietario, gamma di servizi offerti, e densità abitativa.
Avete esaminato gli standard di qualità stabiliti dai gestori del servizio idrico integrato nelle carte di servizio per gli anni2010/2015. Che cos’è la carta dei servizi del servizio idrico?
La carta dei servizi nasce negli anni ’90, per rispondere ad un problema collegato alle insoddisfacenti prestazioni rese dal servizio pubblico in quel periodo. L’obiettivo di questo strumento è, infatti, garantire una maggior tutela al cittadino e contestualmente assicurare una migliore qualità dei servizi fruibili, adeguandoli il più possibile agli effettivi bisogni dell’utenza.
Quali dati avete raccolto per valutare la qualità del servizio?
I dati raccolti per valutare gli standard di qualità del servizio offerto sono rappresentati dalle ore massime che intercorrono tra la segnalazione di un guasto e il primo intervento; i minuti di attesa agli sportelli; i giorni che intercorrono tra la richiesta di un preventivo per un nuovo allacciamento e il ricevimento del preventivo stesso; i giorni che intercorrono tra l’accettazione del preventivo da parte del cliente e l’esecuzione dell’allacciamento. I differenziali tra il valore massimo ed il valore minimo registrati per ogni indicatore segnalano la presenza di standard notevolmente difformi tra un’azienda e l’altra. Per esempio, il tempo massimo per la realizzazione del primo intervento è pari a un giorno per Sidra, di Catania e Aigo, Cuneo, mentre per dodici aziende il tempo di intervento è di soli 30 minuti. Il tempo minimo di attesa agli sportelli tra le aziende che abbiamo analizzato è di 5 minuti, registrato in 9 casi, mentre il massimo è di un’ora, di Nuove Acque di Arezzo. I giorni di esecuzione di un nuovo allacciamento sono pari a 2 per Gesesa di Benevento, mentre addirittura di 90 per cinque aziende. Infine i giorni per l’emissione di un preventivo per nuovi allacciamenti sono di appena 4 giorni per Flavia Acque, Ladispoli, mentre ne occorrono 45 a Acquedotto Lucano di Potenza, Veritas, Venezia, e Infernotto di Cuneo.
Da cosa dipende questa differenza di qualità?
Proseguendo nell’indagine si è cercato di individuare i possibili “driver” in grado di spiegare l’origine di una così ampia differenza nei livelli di qualità del servizio. Tra questi, se si considera la scala dimensionale, i risultati evidenziano che le grandi aziende hanno indicato mediamente dei target peggiori rispetto alle medie e soprattutto alle piccole. Ciò è tuttavia controbilanciato da un indennizzo di minore entità. Se si considera, poi, l’assetto proprietario, tra le aziende a capitale pubblico rispetto ai PPP ed a quelle a capitale privato si nota la stessa dicotomia che caratterizza le grandi rispetto alle piccole utility: così, le società controllate al 100% dagli enti locali fissano degli standard qualitativi minori; ciò è tuttavia bilanciato da un indennizzo mediamente superiore di circa 7 euro, erogato in caso di mancato raggiungimento dei target previsti.
Cosa emerge da questo e dagli altri studi condotti dal centro Wamaterc?
Questo risultato si aggiunge a quanto emerso da un recente studio svolto dai ricercatori Wamaterc ed incentrato sulla comparazione degli andamenti tariffari, di efficienza e degli investimenti tra i partenariati pubblico-privati e le utilities a totale capitale pubblico (Guerrini & Romano, 2016). Complessivamente, dalle due ricerche emerge che, se la presenza di soci privati migliora le performance qualitative, anche grazie a più elevati investimenti, i gestori pubblici presentano costi al metro cubo e tariffe inferiori. Ciò denota due distinte linee strategiche per tali tipologie di aziende. I partenariati pubblico-privati mirano ad aumentare il rendimento del capitale investito, attraverso la realizzazione di elevati investimenti e l’utilizzo della “leva finanziaria”. Le aziende a totale capitale pubblico, controllate e gestite più direttamente dalla politica, mirano invece a contenere la crescita tariffaria, anche a scapito degli investimenti e, purtroppo, della qualità. Quest’ultima scelta è giustificata, a nostro avviso, dalla necessità dei politici di essere rieletti, che porta inevitabilmente a perseguire scelte orientate al “breve termine”.
10.05.2016