“Dramatic” è il termine che ricorre maggiormente nei notiziari internazionali a commento del voto Brexit, un termine che curiosamente riunisce chi fino ad ora è stato diviso nei sondaggi, nelle opinioni e nelle votazioni. In inglese, infatti, “dramatic” non è necessariamente connotato in modo negativo, bensì fa semplicemente riferimento ad un evento di grande portata e quindi viene ora usato trasversalmente sia da chi esulta che da chi si dispera.
Di certo drammaticamente negativo è stato il pre-brexit, segnato dall’uccisione della giovane parlamentare laburista Jo Cox, vittima sacrificale della guerra di secessione europea; questo però non ha frenato l’onda del 52% che ha votato a favore dell’uscita del Regno Unito dall’UE, dopo 43 anni di permanenza come membro – non sempre entusiasta.
La sterlina è già caduta; il Primo Ministro Cameron si è dimesso. Ora il post-brexit ha due certezze: in primo luogo il voto dissonante di Scozia e Irlanda del Nord rispetto al SI’ dell’Inghilterra conferma che il Regno Unito così tanto unito non è più (e del resto non lo è mai stato), perché c’è il forte rischio che la Scozia venga trascinata in un nuovo referendum. In secondo luogo è indubbio che l’intera narrativa dell’Unione Europea verrà rivisitata, tra nuove spinte secessioniste (non ultima l’Olanda) e il necessario rallentamento di prospettive su nuove annessioni.
Governanti, politica internazionale e banche europee: questo voto inglese punta il dito chiaramente verso di loro e li invita, ineluttabilmente, all’autocritica. Qualcuno vede già la fine dell’Unione Europea; di certo è un campanello di allarme forte se si vuole evitare che questo succeda. Ed il primo passo è incrementare la fiducia dei Cittadini europei nei confronti dell’UE: una strada tutta in salita.
Roberta Facchinetti, direttrice del dipartimento di Lingue e Letterature straniere
24.06.2016