Qual è lo stato di salute del sistema universitario e della ricerca in Italia? Quali sono i processi valutativi e meccanismi premiali che ne conseguono? Questi e altri i temi al centro dell’incontro “Il sistema universitario e della ricerca. Dialogo su risultati e indicatori” che si è tenuto il 7 luglio nella Sala Barbieri di Palazzo Giuliari. Ad aprire la giornata l’intervento del rettore Nicola Sartor che ha introdotto Daniele Checchi, consigliere dell’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca. Checchi ha presentato il rapporto Anvur 2016. A seguire il contributo di Antonio Schizzerotto, presidente del Nucleo di valutazione di ateneo, con un focus su indicatori e modalità di valutazione della didattica. L'appuntamento si è chiuso con un dibattito cui hanno partecipato in numerosi tra docenti e personale tecnico e amministrativo di ateneo .
“Negli ultimi anni – ha dichiarato Daniele Checchi, membro del Consiglio direttivo Anvur e coordinatore del rapporto – l’università e la ricerca italiane si sono sottoposte, anche grazie alle misure e alle norme varate dai diversi governi, a procedure trasparenti di valutazione e responsabilizzazione, come nessun altro ambito della Pubblica Amministrazione. Tuttavia, nell'ultimo decennio questo impegno non sempre ha trovato un adeguato sostegno nelle politiche pubbliche, soprattutto dal punto di vista delle risorse a disposizione, decisamente insoddisfacenti se rapportate al contesto internazionale. Basti a questo proposito ricordare la riduzione del Fondo di finanziamento ordinario: solo negli ultimi due anni la ripartizione delle risorse ha mostrato i primi timidi segnali di miglioramento, spesso più nella composizione qualitativa che in termini assoluti”.
Nel Rapporto, presentato a Roma il 24 maggio alla presenza della ministra Stefania Giannini, vengono descritte le caratteristiche del sistema universitario e degli enti di ricerca nella loro evoluzione temporale, l’offerta formativa degli atenei e il corpo docente, le carriere degli studenti, la situazione dei laureati e il mondo del lavoro, la struttura del finanziamento pubblico e privato, la governance degli atenei e la qualità e l’impatto della produzione scientifica. Si tratta di una fotografia molto dettagliata che mette in evidenza luci e ombre di un sistema complesso in grande cambiamento.
Fra i punti di forza del sistema universitario italiano va senza dubbio evidenziato che negli ultimi due anni si è arrestato il calo degli immatricolati che si era osservato a partire dalla metà degli anni Duemila. Nell’ultimo anno, infatti, si registra una prima inversione di tendenza, con un incremento dell’1,6% del numero di iscritti (del 2,4% tra i giovani con età pari o inferiore a 20 anni). Il numero degli immatricolati è cresciuto soprattutto al Nord con +3,2% (4,1% sotto i 20 anni) ma ha avuto un miglioramento anche nel Mezzogiorno con +0,4% (+0,8% sotto i 20 anni). Migliora anche la regolarità dei percorsi di studio sia dal punto di vista di quanti terminano gli studi nei tempi previsti, sia della diminuzione di coloro che non proseguono al secondo anno.
Emergono inoltre i buoni risultati raggiunti a livello internazionale dalla produzione scientifica dei nostri docenti e ricercatori, nonostante la progressiva diminuzione dei fondi accessibili per chi si occupa di ricerca di base e di quella umanistica, settori in cui l’Italia ha una tradizione di eccellenza. Se si confronta la produttività con le risorse impiegate, l’Italia ha ottimi risultati, sia rispetto alla spesa in ricerca destinata al settore pubblico e all’istruzione terziaria, sia rispetto al numero di ricercatori attivi nel paese.
Fra le maggiori difficoltà il Rapporto mette in evidenza che, nonostante la crescita osservata negli ultimi anni, l’Italia rimane tra gli ultimi paesi in Europa per quota di popolazione in possesso di un titolo d’istruzione terziaria, anche tra la popolazione più giovane (24% contro 37% della media UE e 41% media OCSE nella popolazione 25‐34 anni). Inoltre l’incertezza associata alle prospettive di carriera accademica induce fenomeni preoccupanti come: l’abbandono della carriera da parte di molti dottori di ricerca e assegnisti che non possono permettersi lunghi periodi d’insicurezza retributiva, conseguente anche al fatto che la quota del prodotto interno lordo (PIL) dedicata alla spesa in ricerca e sviluppo è rimasta stabile nell’ultimo quadriennio (2011‐2014), confermandosi su valori molto inferiori alla media dell’Unione Europea e dei principali paesi OCSE: con l’1.27% l’Italia si colloca solo al 18° posto. Il rapporto evidenzia anche l’ampliarsi del divario tra atenei nelle diverse macroregioni del paese.
La Redazione
07.07.216