La sociologia piange la scomparsa di Zygmunt Bauman, sociologo, professore di sociologia all'università di Leeds, uno degli ultimi eredi della teoria critica novecentesca, e novecentesca è anche la sua biografia, volontario contro il nazismo in Europa, ebreo errante, marxista ed infine acuto teorico della recente trasformazione della modernità; quella modernità liquida che sintetizza mirabilmente l'essenza dei nostri tempi, costruendo un punto fermo cui ancorarsi nel susseguirsi di teorie sulla transizione che ci circonda e sommerge, dalla postmodernità alla tarda modernità ecc. L'idea di liquidità sintetizza infatti mirabilmente il cambiamento che ci avvolge, dando un nome ed una ossatura alla sensazione di incertezza e di disorientamento che stiamo vivendo. A lui vanno ascritti, tra gli altri, due grandi meriti. Di aver riportato la sociologia ai fasti dei grandi affreschi, dello sguardo che vede l'orizzonte e coglie la foresta oltre alle foglie, e di essere stato capace, come solo i grandi pensatori lo sono, di farsi comprendere da tutti, con un linguaggio evocativo e diretto, uscendo dalla torre eburnea che spesso non è che il rifugio dei mediocri. Non lo ringrazieremo mai abbastanza di avere riportato alla ribalta, con la capacità di analisi d'insieme, frutto dello sguardo globale che la teoria critica insegna, i temi “oscuri” del nostro tempo, come la paura, le disuguaglianze, i rischi nascosti dietro il paradiso consumista, di averci messo di fronte alla fragilità del mondo che diamo per scontato pungolandoci a criticarlo e a migliorarlo. Di avere, infine, ricordato alla sociologia la sua vocazione pubblica, la vitale necessità di portare i disegni della teoria nel mondo della vita quotidiana di tutti noi, per aiutarci a capire e vivere. Grazie professore.
Domenico Secondulfo
10.01.2017