Neandertal sì o Neandertal no? È questa la domanda su cui si è incentrato l’incontro, promosso dal Museo civico di storia naturale di Verona, dall'Accademia di Agricoltura, scienze e lettere in collaborazione con l’università di Verona, di venerdì 10 febbraio in Gran Guardia. Nel meeting si è parlato dei resti umani trovati nel Riparo Mezzena e principalmente del frammento di mandibola umana che, negli ultimi anni, ha riacceso il dibattito su una possibile ibridazione tra il Neandertal e l’uomo moderno. I numerosi presenti hanno potuto ascoltare, direttamente dalla voce dei ricercatori, i risultati degli studi più recenti che hanno messo la parola fine alla questione.
Ad aprire la giornata i saluti di Giuseppe Minciotti, dirigente del Museo civico di storia naturale, di Antonia Pavesi, consigliere comunale, di Claudio Carcereri de Prati, presidente dell’Accademia di agricoltura, scienze e lettere, e di Fabio Saggioro, docente di Archeologia cristiana e medievale in ateneo. In seguito Jean-Jacques Hublin, uno dei massimi antropologi al mondo e direttore di Human Evolution al Max Planck Institute for evolutionary anthropology a Lipsia, ha tenuto la lectio magistralis “Hommes modernes et Neandertal s’hybrident. Le cas de Mezzena”. Sahra Talamo, ricercatrice al Max Planck Institute for evolutionary anthropology, ha poi preso la parola con la lezione “La datazione dei resti umani del Riparo Mezzena”.
“La sostituzione del Neandertal da parte dell’uomo moderno, avvenuta circa 40.000 anni fa, – ha spiegato Hublin – è l’avvenimento più importante dell’evoluzione biologica dopo l’uscita dell’Africa. Non è un fenomeno semplice: non è avvenuto in blocco. Nel momento in cui gli uomini moderni arrivano in Europa occidentale, infatti, esistono ancora dei gruppi neandertaliani. Si parla quindi di una sovrapposizione cronologica tra i Sapiens e alcuni tardivi Neandertal”. Gli ibridi possono perciò esistere.
È possibile che i frammenti del Riparo Mezzena appartengano a uno di questi incroci? Si parla del frammento di mandibola, rinvenuto nel 1957, che fu considerato neandertaliano nonostante avesse alcune caratteristiche moderne. Nel 2013 un’analisi del DNA mitocondriale, svolta a Verona, confermò tale attribuzione. “Abbiamo quindi deciso di studiare i frammenti per scoprirne la datazione – ha affermato Talamo –. Sorprendentemente la data non era neandertaliana ma neolitica. Abbiamo svolto perciò altri esami, tra cui l’analisi molecolare ZooMS, spettrometria di massa che permette di determinare la specie del campione analizzando il collagene dell’osso, e abbiamo identificato alcuni campioni di specie animale. Si è poi svolta un’analisi del DNA mitocondriale sui frammenti umani e si è scoperto che hanno il 100% di DNA Sapiens. È quindi non neandertaliano: i reperti, compresa la mandibola, sono moderni. Ma perché l’analisi del 2013 indicava Neandertal? Pensiamo che ci sia stata una contaminazione in laboratorio, involontaria ovviamente”.
La giornata si è conclusa con una tavola rotonda. Marco Peresani, docente di Preistoria e protostoria in ateneo, ha esposto la vita dei neandertaliani nel veronese mentre Olga Rickards, docente dell’università di Roma Tor Vergata ha spiegato la disciplina dell’antropologia molecolare. Ha poi preso la parola Giacomo Giacobini, docente dell’università di Torino, che ha spiegato come il progredire delle metodologie scientifiche permetta una rilettura critica di vecchie scoperte. Infine Maria Fiorenza Coppari, giornalista, ha affrontato le difficoltà nel divulgare le scoperte scientifiche.
16.02.2017