È una figura affascinante quella di Emine Sevgi Özdamar, scrittrice, regista, attrice, protagonista l’11 ottobre di Open Lectures, organizzata da Gabriella Pelloni, docente di Letteratura tedesca, e promossa dalla scuola di dottorato in Scienze umanistiche. La storia della scrittrice parla di viaggi, di integrazione, di incontri, di promesse e sacrifici ed è su questi temi che si basano le sue opere, altamente autobiografiche.
Ma facciamo un passo indietro. Emine Sevgi è nata a Malatya, nel cuore della Turchia, nel 1946. È giovane, intraprendente e sogna l’Europa come gli italiani sognavano l’America, terra di speranze, lavoro e opportunità. A diciotto anni sceglie di partire per la Germania, ed è allora che avviene il primo contatto con la cultura tedesca. Ma quello che trova non sono porte aperte e facili strade. La sua vicenda è apparentemente comune a quella di tanti altri emigrati, che cercano di inserirsi in nuove realtà, con le difficoltà del caso: una lingua diversa, i pregiudizi della gente, lavori precari e malpagati. Lavora come operaia in una fabbrica di radio, con un contratto da gastarbeiter,”lavoratrice ospite” termine coniato proprio negli anni Cinquanta per indicare la posizione assunta dai lavoratori stranieri. Ma la motivazione personale che l’ha portata in Germania è dettata da una passione: “A dodici anni ho iniziato a recitare”, racconta Emine Sevgi Özdamar durante l’incontro, “una sera, dopo uno spettacolo, ho promesso alle stelle che avrei fatto l’attrice”. I tempi non sono ancora maturi, la Germania non è pronta per un teatro internazionale, così Emine sceglie di tornare in patria, dove studia nella scuola di arte drammatica di Istanbul. Nel 1971 il colpo di stato militare in Turchia, il secondo di tre golpe avvenuti tra gli anni Sessanta e Ottanta, ha un impatto molto forte sulla donna, che si sente tradita dal suo paese e vive quello che chiama “il trauma della perdita del linguaggio”. “Ero diventata stanca”, riferisce la scrittrice, “stanca di usare una lingua che era venuta meno”. Parte quindi nuovamente per la Germania, dove vive quello che lei considera come un esilio politico.
Dagli anni Ottanta intraprende a Berlino la carriera nel campo delle arti teatrali e della letteratura, pubblicando i primi testi di scrittura teatrale e narrativi, inizialmente in turco e poi in tedesco. Per quanto riguarda la lingua italiana è recente la scelta di effettuare una traduzione delle sue opere. Ne è un esempio Perikizi, un sogno, ultimo suo testo, ispirato alla mitologica Odissea, pubblicato in edizione bilingue, tedesco-italiano. È in questo testo, al centro dell’incontro di mercoledì, che l’autrice narra tratti della storia della sua nazione, dando risalto ai pensieri della sua gente. Da una parte Emine Sevgi Özdamar racconta dei momenti più macabri vissuti in Turchia, innegabilmente legati alla storia tedesca, come il genocidio degli armeni e la successiva uccisione di intellettuali, politici, uomini comuni che si erano opposti al massacro, e lo fa ricordandoli con le parole di figure anziane. Sono i nonni a rappresentare il filo conduttore tra passato e presente, tenendo alta la memoria di quei terribili fatti e raccontando la guerra, la morte dei figli e la disperazione di quei momenti. È quell’orribile memoria che, ancora oggi, come spiega la scrittrice “il governo turco nega e non permette che vi sia una consapevolezza popolare, una memoria comune”. Dall’altra parte ci sono speranze e positività. I sogni di quell’Europa che sembra sempre più vicina, sono vissuti attraverso gli occhi dei giovani, che grazie al cinema iniziano a conoscere la cultura europea. Sono i volti di quegli attori, che hanno fatto scalpitare anche le giovani generazioni di italiani, ad entrare per primi nelle case dei turchi, come Rossano Brazzi, Jean Gabin, Anna Magnani e Silvana Mangano, raccontati proprio nell’opera Al cinema con Jean Gabin.