«Nulla è più nostro. Ci hanno tolto gli abiti, le scarpe, anche i capelli; se parleremo, non ci ascolteranno, e se ci ascoltassero, non ci capirebbero». Il racconto inizia il 13 dicembre 1943, quando Primo Levi è arrestato dalla milizia fascista e in seguito deportato nel campo Buna-Monowitz, vicino Auschwitz, dove sopravvive fino alla liberazione, avvenuta il 27 gennaio 1945. I ricordi degli orrori vissuti saranno da lui raccontati in “Se questo è un uomo”, testo da cui è tratto lo spettacolo teatrale “Primo”, che andrà in scena al Camploy (via Cantarane, 32), mercoledì 7 febbraio, alle 21. Il testo sarà interpretato da Jacob Olesen, con la regia di Giovanni Calò, per una produzione di Enrico Carretta, in una collaborazione tra l’ateneo scaligero e Eadem produzioni.
La terribile realtà della testimonianza di Levi, evitando toni pietistici o patetici, viene rappresentata con i colori dello stupore, della semplicità e, per quanto questo sia arduo, della leggerezza. È il mezzo per “contagiare” emotivamente lo spettatore con quella vergogna “ che il giusto prova davanti alla colpa commessa da altrui”. Non si può dimenticare, non si deve. «Si immagini ora un uomo a cui, insieme con le persone amate, vengano tolti la sua casa, le sue abitudini, i suoi abiti, tutto infine, letteralmente tutto quanto possiede: sarà un uomo vuoto, ridotto a sofferenza e bisogno, dimenticodi dignità e discernimento, poiché accade facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere se stesso».
Eppure qualcosa a Levi viene dato. È un nuovo nome: Haftling n.174.517. Il prigioniero 174.517 cercherà di sopravvivere. Lotterà disperatamente per non essere “inghiottito dalla notte, puramente e semplicemente”. A volte si trova la forza di sopravvivere per poter raccontare. Primo Levi è sopravvissuto per raccontare.
La sua testimonianza va ricordata. A chi già la conosce, a chi la ignora, per non dimenticare .
L’ingresso allo spettacolo è libero fino a esaurimento posti.