Nasce nel 1934 a Dax, nella regione francese dell’Aquitania, e ancora oggi rappresenta una decana della mediazione a livello internazionale. Fondando negli anni Ottanta il Centre de médiation et de formation à la médiation (Cmfm), Jacqueline Morineau dà vita a un suo personale metodo umanistico. Giovedì 8 marzo l’ateneo l’ha ospitata nell’aula magna di Scienze giuridiche con un incontro moderato da Alberto Tedoldi, docente di Diritto processuale civile, e da Caterina Marchetto, formatrice e mediatrice dell’Ente di formazione dell’università di Verona.
“Per far sì che ci sia giustizia dobbiamo basarci sull’equità. Sulla benignitas”, sostiene Tedoldi, “dobbiamo accogliere le sfide culturali e dare una formazione umanistica oltre che tecnica. La crisi della giustizia è anzitutto crisi della legge e del diritto, concepiti in modo prettamente tecnocratico”. Tra gli ospiti dell’incontro anche Tommaso Dalla Massara, presidente del Collegio didattico di Giurisprudenza, Agostino Portera, docente di Pedagogia generale e interculturale, Carlo Vettore, formatore per l’Ente di formazione dell’università di Verona, e Donata Carnevali, socio formatore dell’Associazione internazionale mediatori sistemici (Aims).
Una società piena di angoscia e di paura. Una società del vuoto. Così Jacqueline Morineau definisce l’attuale comunità in cui viviamo. “Abbiamo creato questa civilizzazione con tanta fatica. Devo pensare che l’abbiamo fatto per niente?”, sottolinea quando parla delle barbarie commesse in Siria e in Iraq. Per la fondatrice del centro parigino “essere un mediatore significa creare un ponte tra la guerra e la pace e in questo senso c’è un’urgenza cui non si può restare sordi”. Con il più recente flusso migratorio verso l’Europa, poi, il concetto di interculturalità è tornato al centro di mille polemiche ed è anche in questo campo che la mediazione entra in azione. “La parola responsabilità è molto legata alla parola mediazione, perché questa responsabilità di pace tocca a tutti. Oggi di fronte ai nuovi movimenti non possiamo che vedere questo flusso migratorio come un flusso di umanità. Dobbiamo riconoscere che è un dono e non una minaccia”.
La figura del mediatore si riserva, quindi, il compito di smussare le situazioni spinose che si innescano nei diversi ambiti, da quello familiare a quello sociale; eppure in un terreno dissestato come quello italiano, e non solo, questa figura professionale non riesce ad attecchire. “La realtà italiana è una realtà mondiale. Paesi come l’Italia e la Francia sono Paesi vecchi, molto attaccati a un modo di vivere. Molto spesso non si ha coraggio nell’accogliere le nuove sfide. Il mediatore è un lavoro che possiamo fare tutti quotidianamente”, conclude Morineau.